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Investimenti


Tra azionario e obbligazionario, qual’è l’investimento più sicuro?”

Come ricorda una celebre scena del film “Vi presento Joe Black”, nella vita ci sono due certezze, entrambe un po’ macabre: morte e tasse.

In realtà ne andrebbe aggiunta una terza, almeno per quanto riguarda il nostro Paese.

Ogni indagine di mercato conferma infatti che, con il passare degli anni, gli italiani cambiano molte abitudini in ambito finanziario, tranne una.

Cascasse il mondo, al primo posto continuano a mettere la sicurezza.

Qualsiasi investimento facciano, deve essere “sicuro”.

Ti ritrovi anche tu, in questa esigenza?

Così fosse, non ci sarebbe davvero nulla di strano.

Che il desiderio di qualsiasi individuo sia quello di non veder evaporare il proprio risparmio a causa di scelte avventate o situazioni improvvise, è ampiamente comprensibile.

In fin dei conti, salvo rare eccezioni, il denaro che si mette da parte costa fatica, rinunce, sacrifici. Cercare una soluzione che lo preservi appare, pertanto, del tutto naturale.

Detto questo, occorre capire cosa si intende per “sicuro” e calare la definizione nel mondo concreto dei mercati finanziari. I quali, come noto, consentono di posizionare il denaro in due grandi famiglie di investimenti: azionario e obbligazionario.

Basandomi su quanto sento affermare da anni direttamente da investitori e clienti, la sicurezza è percepita come una condizione di “non perdita”.

È sicuro quell’investimento che si muove il meno possibile e che, a una certa data, garantisce la restituzione del capitale allocato.

Proprio per queste caratteristiche, le obbligazioni continuano ad essere riconosciute dal grande pubblico come investimento sicuro: producono minori oscillazioni di quelle sofferte da chi acquista azioni e, soprattutto, a una certa data scadono, riconsegnando al legittimo proprietario il suo denaro, maggiorato del tasso di interesse previsto.

Nell’immaginario collettivo le obbligazioni rappresentano un mezzo con il quale viaggiare in modo più confortevole e sereno. Un mezzo che magari preclude il raggiungimento di determinate destinazioni, ma in ogni caso efficace e rassicurante.

A questo punto diventa importante farsi una domanda: è davvero così?

I mercati e la loro storia confermano questa presunta maggior sicurezza del mondo obbligazionario rispetto a quello azionario?

Per capirlo, non ci resta che osservare alcuni numeri.

Partiamo dal mercato obbligazionario.

Per fare le cose semplici, prendiamo i titoli di stato italiani, i BTP.

Qualche dato può aiutare a capire meglio come sono andate le cose.

Negli ultimi 10 anni, tutto il mondo obbligazionario ha vissuto momenti complicati, specie tra il 2021 e il 2023 quando l’inflazione e il successivo feroce rialzo dei tassi da parte delle banche centrali ha deprezzato pesantemente le quotazioni di questi titoli.

Per dare un’idea delle oscillazioni di prezzo subite in quel frangente dalle “sicure” obbligazioni di stato, basti sapere che ci fu una caduta di prezzo di oltre il 25% per i titoli con scadenza decennale.

Una perdita pari a un quarto del proprio valore.

Inimmaginabile, per la maggioranza dei risparmiatori.

Se ti stai chiedendo se questa situazione ha riguardato solamente i titoli di stato italiani, la risposta è no.

Prendendo i principali indici obbligazionari internazionali, si scopre che anch’essi hanno subito cadute significative negli ultimi anni, nonostante siano ben diversificati.

Pensa che il paniere delle obbligazioni americane è caduto di quasi il 18%, mentre in Europa di oltre il 20%.

E parlando di rendimenti, entrambi i mercati, inoltre, sono ancora sotto ai massimi di 5 anni fa.

In altre parole, un investitore sarebbe ancora “sotto”, dopo anni di attesa.

“Ma come, non c’è la cedola quando si compra un’obbligazione?”

È questa la domanda più gettonata.

E la risposta è sì, certo che c’è un tasso di interesse riconosciuto.

Ma il nocciolo della questione è un altro: cedola e rendimento sono due cose diverse.

Si può incassare una cedola, ma se nel frattempo c’è un andamento avverso delle condizioni di mercato (ad esempio un rialzo dei tassi, come accaduto nel recente passato), i prezzi scendono.

Erodendo il capitale in misura anche maggiore rispetto alle cedole incassate.

A questo punto ti starai chiedendo cosa mai sarà successo sul mercato azionario.

Se già il tranquillo investimento obbligazionario ha avuto i suoi problemi, immaginiamoci le azioni, in un mondo alle prese con problemi di ogni tipo…

E allora vediamo qualche dato.

Certo, anche qui le oscillazioni non sono mancate.

Le cadute si sono verificate a più riprese, se solo pensiamo ai tanti eventi che le hanno scatenate in ogni angolo del pianeta.

Solo per citarne alcuni: guerre (belliche e commerciali), pandemie, crisi delle aree emergenti, inflazione e rialzo delle materie prime.

Eppure, nonostante tutto questo, ci sono due aspetti da segnalare.

Il primo: le cadute nel mercato azionario durano meno di quelle che si verificano nel mercato obbligazionario.

In media, ci vogliono circa 2 anni e mezzo perché vengano recuperate.

Mentre abbiamo visto che, ad oggi, tante obbligazioni hanno valori più bassi di quelli di 5 anni fa.

Il secondo aspetto riguarda il rendimento.

Perché è vero, chi entra nel mercato azionario deve essere pronto a ballare, a sopportare mareggiate improvvise ed estremamente fastidiose.

Ma poi passa alla cassa. Sempre.

Pensa che, negli ultimi 10 anni, l’economia finanziaria globale è cresciuta del 150%.

Il mercato giapponese, del 160%.

Quello americano, del 233%.

Addirittura del 375%, se prendiamo il segmento tecnologico.

Mi fermo qua, con i numeri.

Dovrebbero essere sufficienti a capire che la sicurezza non è un marchio di fabbrica di un unico investimento.

La sicurezza va messa in relazione con diversi parametri, di cui il tempo è uno dei principali.

E chi, per almeno una parte della sua ricchezza, ha la possibilità di aspettare, non dovrebbe nutrire alcun dubbio su quale mercato sia il più sicuro.

E no, quel mercato non è quello che finora la maggioranza ha considerato tale.

A volte ci portiamo dietro paure comprensibili, figlie di convinzioni distorte, che ci condizionano e ci limitano.

Superarle non è poi così difficile.

Basta un po’ di consapevolezza.

Se vuoi saperne di più chiamami, sono a tua disposizione.

“Troppi problemi, meglio non investire”

Vincenzo Pazienza, meglio noto come Vinny Paz, è un ex pugile americano di chiare origini italiane.

Campione del mondo dei pesi leggeri, nel 1991 decise di passare alla categoria superwelter.

Da lì a poco, un terribile incidente gli procurò fratture multiple al collo e una lesione che si fermò a 3 millimetri dalla spina dorsale. Mentre lui pensava al ritorno sul ring, i medici sostenevano che sarebbe stato un grande successo se fosse tornato a camminare.

Nonostante i dottori, la sua famiglia e il suo allenatore dessero per scontata la fine della sua carriera, Vinny riprese ad allenarsi da solo, in uno scantinato, con ancora addosso il tutore che gli avevano piantato in testa.

Dopo 13 mesi, tornò a combattere e divenne nuovamente campione del mondo, per giunta in una categoria di peso superiore.

Dopo la vittoria, disse che il mondo della boxe era costellato di bugie.

La più grande delle quali era “non è così semplice”.

Te lo ripetono in continuazione – dice Pazienza – fino a quando finisci per crederci e smetti. Ti convincono che non è possibile fare qualcosa dicendoti che non è semplice.

La verità è che lo è. Lo è sempre stato.

A prescindere dal fatto che tu sia un appassionato di boxe o meno, le parole di Vinny Paz sono di una potenza incredibile. Escono dai confini dello sport, sono perfettamente applicabili a moltissimi ambiti della nostra vita.

Compreso il mondo finanziario.

Anche investire non è affatto così semplice, se ti guardi intorno e osservi quello che accade.

Ci sono sempre un sacco di problemi, basta aprire un notiziario qualsiasi.

Guerre che dilaniano popoli.

Eterne incomprensioni tra i grandi della Terra.

Catastrofi climatiche sempre in agguato.

Crisi internazionali che mandano in recessione un Paese piuttosto che un altro.

Chi investe deve necessariamente essere alimentato da uno spirito ottimistico, di fiducia verso il futuro, senza la quale non avrebbe alcun senso rinunciare al proprio denaro oggi nell’aspettativa di vederlo crescere al passare degli anni.

Ma in tantissimi si chiedono come è possibile avere fiducia quando si attraversano fasi costellate da difficoltà.

Anche in questo 2025, c’è stata una incredibile concentrazione di eventi destabilizzanti.

I due conflitti che, in Europa e Medio Oriente, continuano a seminare distruzione.

La nuova presidenza americana, in pochi mesi, ha introdotto una serie di provvedimenti – dalla politica commerciale a quella internazionale – che si sono contraddetti l’uno con l’altro.

Tutto questo mentre l’intelligenza artificiale irrompe nel cuore di una transizione digitale senza precedenti.

Mi rendo conto che, vista da fuori e con gli occhi di un risparmiatore che nella vita non si occupa di finanza, tutti questi eventi rendono le scelte di investimento tutt’altro che semplici.

Tanto più che il mercato ha già dato l’ennesima dimostrazione di innervosirsi di fronte all’incertezza che negli ultimi mesi non è certo mancata.

E infatti, nelle poche settimane che sono andate da metà febbraio ai primi di aprile, tutti i principali indici azionari internazionali sono scivolati procurando perdite fino al 20%.

“Ci sono troppi problemi in giro per il mondo, è più saggio e prudente non investire”.

Queste sono le frasi che continuo a sentire da tante, troppe persone.

Non lo so se simili affermazioni rispecchiano anche il tuo pensiero, ma ti chiedo di prenderti ancora pochi minuti e di leggere fino in fondo quello che sto per dirti.

No, non ho intenzione di sbandierare il fatto che i mercati internazionali – gli stessi che pochi mesi fa erano inciampati – sono tornati su nuovi massimi con una velocità difficilmente pronosticabile.

Non è questo il punto, per il semplice fatto che domani mattina potrebbero riprendere a scendere e, se anche così fosse, quello che sto per dirti non sarebbe comunque compromesso.

Ciò che un investitore dovrebbe fare è una cosa ben precisa.

Stare alla larga dal rumore quotidiano che lo porta a dare troppo peso al “qui ed ora” e allargare la visione.

Occorre liberarsi della convinzione per la quale ogni evento negativo presente in qualche angolo del pianeta determini una reazione altrettanto negativa dal punto di vista finanziario.

Questa equazione non esiste.

Se prendiamo gli ultimi 30/35 anni, hai idea di quante siano state le crisi e i conflitti che hanno interessato buona parte del Mondo?

Ti faccio un brevissimo riassunto, nel quale di certo dimenticherò qualcosa.

1990, guerra del Golfo.

1991, pesante recessione in India.

1992, crisi valutaria di lira e sterlina e guerra nei Balcani.

1997, crisi finanziaria asiatica.

1998, crisi in Russia.

1999, recessione e successivo default in Argentina.

2000, crisi tecnologica e bolla di Internet.

2001, attentato alle Torri Gemelle.

2003, guerra in Iraq.

2007, crisi dei mutui subprime.

2008, crisi globale e fallimento di Lehman Brothers.

2010, prima parte della crisi del debito sovrano europeo, protagonista la Grecia.

2011, seconda parte della crisi del debito sovrano europeo, stavolta tocca anche all’Italia.

2014, peggiore recessione di sempre in Brasile.

2015, crisi in Cina e crollo finanziario.

2016, Brexit e uscita dall’Unione Europea del Regno Unito.

2018, guerra commerciale internazionale e ondata di dazi nel primo mandato di Trump.

2020, crisi pandemica.

2022, guerra in Ucraina.

2023, attacco di Hamas a Israele e guerra in Palestina.

Il resto è storia dei giorni nostri.

A vederla in questo modo – e, ti ripeto, ho certamente omesso altri eventi meritevoli di essere menzionati – che cosa te ne pare?

Ci sono stati sufficienti problemi, nel Mondo, anche prima di quelli sui quali siamo focalizzati ora?

La sequenza di crisi e conflitti è veramente impressionante, e comprendo che alimentare il sentimento di fiducia e ottimismo sarebbe estremamente complesso per chiunque, se ci si limitasse a questa parte di realtà.

Per fortuna, però, ce n’è anche un’altra.

Che racconta come il Mondo, lo stesso che si è reso protagonista degli eventi che hai appena letto, è andato sempre avanti.

Diventando un posto decisamente migliore.

A fronte di un’economia che, pur inciampando periodicamente, è cresciuta, ti sei mai chiesto che cosa ha generato il mercato azionario globale nello stesso orizzonte temporale?

Te lo dico nel modo più semplice possibile.

100 euro nel 1990 sarebbero diventati 943 euro oggi.

Crescendo ad un ritmo che, senza considerare i dividendi, si sarebbe avvicinato al 7% su base annua.

Nonostante tutte le difficoltà, le crisi, le guerre.

E allora, la prossima volta che i titoli dei notiziari saranno nuovamente monopolizzati dall’ennesimo problema, devi fare una cosa soltanto.

Anche se lì fuori tutto ti porterà altrove, tu riprendi queste righe.

Saranno valide sempre.

E ricorda che tutto cambia, ma in realtà nulla cambia.

Che le crisi sono sempre diverse, ma l’epilogo – da un punto di vista finanziario, l’unico sul quale mi permetto di pronunciarmi – rimane lo stesso.

Perché investire sembra difficile. A volte, addirittura impossibile.

Eppure, non è la complessità il vero ostacolo. È il rumore.

E quando impari a spegnerlo, scopri che la strada è lì. Chiara.

Da percorrere con fiducia, passo dopo passo.

Investire sembra complicato.

Ma, come suggerisce Vinny Paz, in realtà è semplice.

Lo è sempre stato.

Hai mai calcolato quanto ti rende davvero l’investimento immobiliare?

Hai mai calcolato quanto ti rende davvero l’investimento immobiliare? 

Una casa si vede, si tocca, si vive. 

Si condivide con le persone care. 

Si ammira, anche. 

E non solo: una casa può essere fonte di un reddito su cui contare, a differenza di quello che spesso capita con altri investimenti. Proprio per questo, molti italiani sono fermamente convinti che investire in immobili sia una scelta sicura, quasi una garanzia di stabilità e serenità finanziaria.  

In fin dei conti, con i tempi che corrono e con le difficoltà che molte famiglie hanno nel comprarsi una casa, degli inquilini disposti a pagare l’affitto si trovano sempre. 

E poi “col mattone ti rimane sempre qualcosa”, mica come certi prodotti venduti dalle banche che in passato hanno polverizzato i risparmi di una vita in un amen. 

Se anche tu sei tra gli intramontabili sostenitori di questo Asset, non ti posso biasimare. Perché, in effetti, il mattone ha senza dubbio il suo fascino. 

È solido, tangibile, e questo ci rassicura. 

Non lascia spazio alla diffidenza che solitamente invece contraddistingue le altre tipologie di investimento. 

Investire in una casa non significa affidare i tuoi risparmi a qualcosa di impalpabile, a numeri che si muovono su uno schermo, a ipotesi di rendimento che si scontrano con la paura di perdere tutto in un attimo.  
L’incertezza pesa, il rischio spaventa. 

Quando compri un immobile, invece, ti senti più sereno perché il valore del tuo investimento non oscilla in continuazione, né si espone alla speculazione che spesso e volentieri riguarda le Borse. Al contrario, è facile lasciarsi sedurre dalla sua concretezza, dalla sua bellezza e dal senso di protezione che trasmette.  

Tutto questo è assolutamente comprensibile, sembrano le parole pronunciate da un vecchio saggio. Ma le convinzioni popolari, seppur radicate nel cuore di molti, rischiano di offuscare la verità, che è un po’ diversa e dice un’altra cosa. 

L’immobile non è una cassaforte d’oro, ma un investimento come altri. 

E come altri investimenti, dunque, può nascondere opportunità e insidie che occorre valutare con lucidità e attenzione.  

Ti sei mai chiesto come si calcola il rendimento di un investimento immobiliare?  

In realtà è un’operazione meno semplice di quello che sembra a prima vista. Tuttavia, provo a semplificare facendoti un esempio. 

Prendiamo Giovanni, un investitore come tanti, che decide di dedicare parte del suo patrimonio ad un immobile da mettere a rendita. 

Dopo un po’ di ricerche ha individuato un’occasione: un appartamento piuttosto recente, funzionale, ideale per generare un flusso mensile utile a incrementare le sue entrate. 

Con 200.000 euro può essere suo. 

Senza ulteriori indugi, Giovanni compra l’immobile. 

Cerchiamo di capire a quali spesa egli va incontro, sin dal momento in cui decide di effettuare l’investimento. 

Giovanni ha appena acquistato l’appartamento da un privato. In tal caso, la legge prevede che, all’atto di compravendita, il compratore debba sostenere la cosiddetta imposta di registro proporzionale, che ammonta al 9% del valore catastale dell’immobile. 

Senza entrare in eccessivi e inutili dettagli, devi sapere che questo valore, sulla base del quale viene calcolata l’imposta, è in genere più basso del valore di mercato. Dipende da diversi parametri (tra cui tipologia di immobile, dimensioni e posizione) ma, con buona approssimazione, diciamo che può verosimilmente aggirarsi intorno alla metà del valore di mercato. 

Pertanto, Giovanni deve subito sostenere una “commissione di ingresso” pari a 9.000 euro (il 9% sul 50% del valore compravenduto, 200.000 euro). 

L’altra significativa commissione iniziale è quella che l’acquirente deve riconoscere all’agenzia alla quale si è rivolto per effettuare la transazione, con cui ha concordato il 3% dell’importo di compravendita (un valore medio in linea con il mercato). Quindi significa che Giovanni deve sborsare altri 7.320 euro per l’intermediazione, iva compresa. 

Ancora, c’è da pagare il notaio che certamente e giustamente non lavora gratis: altri 2.500 euro (anche in questo caso, si tratta di un importo coerente con quanto richiesto in media) che si aggiungono alle spese citate in precedenza. 

Insomma, prima ancora di entrare in possesso del suo nuovo immobile Giovanni ha già speso quasi 19.000 euro in più rispetto al costo di compravendita pattuito con il venditore. 

Le uscite, tuttavia, non sono finite. 

Prima di mettere l’appartamento a rendita, infatti, occorre dargli una “rinfrescata”: tra ritinteggiatura, qualche ritocco e una parte di mobilio se ne vanno altri 10.000 euro (il minimo sindacale, oggi, per riammodernare la casa). 

Ricapitolando: l’inquilino deve ancora entrare, ma tra imposte e altri costi accessori Giovanni ha già speso quasi 30.000 euro in più rispetto alla somma investita nell’immobile 

Era consapevole di tutte queste spese, prima di imbarcarsi nell’affare? 

Ma andiamo avanti, perché adesso l’immobile è finalmente in grado di essere affittato e di produrre reddito. 

Giovanni trova senza difficoltà degli inquilini, con i quali concorda un canone di 1.000 euro mensili. 

A questo punto, dopo i costi iniziali già sostenuti, Giovanni deve prepararsi anche ai costi ricorrenti. 

Tre, in particolare. 

Il primo, relativo alla tassazione dei canoni di affitto. Siccome il contratto sottoscritto tra proprietario e inquilini è a canone libero (vuol dire che le parti si accordano liberamente, senza limiti imposti dalla legge), si tratta di pagare un’imposta secca pari al 21% degli introiti annuali. Fanno 2.520 euro. 

Il secondo, relativo alla polizza assicurativa sull’immobile. Che facciamo, non lo proteggiamo almeno nei confronti dell’incendio e degli eventi più estremi? Stimiamo un costo annuo di ulteriori 300 euro. 

Il terzo costo ricorrente riguarda invece l’IMU, un’imposta da cui è esentata solo la prima casa e che si attesta intorno all’1% del valore catastale. Anche qui, con una buona approssimazione, possiamo immaginare un costo di circa 1.000 euro ogni anno. 

Sui 12.000 euro di affitto incassati ogni anno, oltre il 30% se li prende il fisco.  

Più di quelli che pesano sugli investimenti finanziari e senza considerare che in un fondo comune di investimento non bisogna occuparsi del rifacimento delle facciate, della caldaia che si rompe o dell’inquilino che non paga. Tutti problemi che non stiamo considerando, ma che potrebbero verificarsi… 

Quindi, in definitiva, quanto rende davvero l’investimento a Giovanni? 

Se dovessimo fare il calcolo delle entrate nette generate dall’affitto (poco più di 8.000 euro l’anno), rapportate al costo complessivo dell’investimento (circa 229.000 euro), il rendimento sarebbe intorno al 3,5%. 

Senza considerare gli imprevisti, sempre in agguato. 

Tanto o poco? 

Il punto non è questo. Certo, volendo confrontare questo risultato con quello generato da investimenti finanziari compatibili con un orizzonte temporale medio-lungo, non ci sarebbe partita: il mercato azionario globale ha remunerato gli investitori negli ultimi 20 anni con un rendimento medio nettamente superiore, pari a circa l’8,5% all’anno. E continuerà a produrre valore in futuro, come sempre. 

Il punto, dicevo, è però un altro. 

I tanti Giovanni che investono nel mattone sono consapevoli di tutti i costi che gravano su questo investimento? 

Sono così attenti a considerarli, proprio come fanno – giustamente – con i costi dei prodotti finanziari? 

E ancora, sanno che il mercato immobiliare italiano, a parte in alcune grandi città, è in affanno da tempo? E si rendono conto che, se il prezzo di un immobile negli anni non sale ma anzi scende, il rendimento effettivamente realizzato si abbassa ancora? 

Sia chiaro: nonostante tutte queste difficoltà, non ho alcuna intenzione demonizzare l’investimento nel mattone. 

Non c’è nessuna crociata, anzi: se gestito con intelligenza, l’immobile può ancora dare soddisfazioni e rappresentare una componente importante di un portafoglio ben diversificato. 

Il segreto sta nel bilanciamento. Il segreto sta nella diversificazione, come sempre. 
Ci sta perfettamente che tu stia valutando di investire anche in immobili. 

Basta che tu non stia pensando di investire solo o prevalentemente in immobili. 

Sono certo di poterti aiutare a valutare meglio la redditività complessiva del tuo patrimonio e darti le indicazioni utili per equilibrare e ottimizzare i tuoi investimenti. 

Te lo dico da Consulente Finanziario: l’investimento finanziario non è necessariamente sempre il migliore. Allo stesso tempo, però, non lasciarti abbagliare dalla tradizionale sicurezza del mattone.  

Sei pronto a rivedere le tue convinzioni? 

Io sono a tua disposizione, non esitare a contattarmi per qualsiasi dubbio o curiosità.

Il vero motivo per cui non puoi fare a meno di diversificare

Che tu sia un veterano della finanza o un esordiente alle prime armi, chissà quante volte avrai sentito parlare di uno dei principi cardine nel mondo degli investimenti: la diversificazione. 

L’idea di non mettere tutte le famose uova nello stesso paniere, in modo da evitare che una caduta provochi la frittata, è di per sé molto intuitiva, quasi banale. 

Eppure, nella realtà, le cose stanno diversamente. 

Ciò che sembra logico e scontato in teoria diventa terribilmente più complicato in pratica. 

L’essere umano, infatti, non è programmato per investire. Sembra esserlo, al contrario, per cadere nelle mille trappole che il cervello invita a compiere.  

Sul tema, come forse saprai, c’è un filone di studi molto robusto che da decenni studia il comportamento umano e le sue bizzarrie: questa disciplina si chiama finanza comportamentale. 

Per non annoiarti troppo, evito di metterti in fila gli innumerevoli errori che la scienza ha individuato e che dimostriamo di commettere quando investiamo. Tuttavia, voglio condividere con te almeno tre di queste distorsioni – in gergo, battezzate “bias” – che spingono molti risparmiatori a non seguire la regola aurea della diversificazione. 

La prima: pensiamo di saperci fare. 

Tecnicamente si parla, in tal senso, di overconfidence. Non appena infiliamo un paio di operazioni vincenti, concluse con qualche sorprendente e immediato guadagno, ci convinciamo che non è così difficile fare profitti in borsa. Perché diversificare e pertanto ridurre i margini di rendimento, quando è possibile individuare e salire su un unico cavallo vincente? 

La seconda: investire in titoli di cui abbiamo sentito parlare ci rassicura.  

Le aziende che esistono e vanno bene da una vita alimentano la convinzione che continueranno ad esistere e ad andare bene anche in futuro. Se queste società sono di grandi dimensioni e proliferano in luoghi a noi vicini, se appaiono nella nostra quotidianità, il senso di rassicurazione aumenta. 

Come può andar male un investimento che punta su un’azienda i cui prodotti vengono utilizzati ogni giorno? La macchina, il telefono, il cibo, il conto corrente sono tutti beni e servizi utilizzati quotidianamente da milioni di persone. Come può andare gambe all’aria chi li vende? Perché dunque diversificare? 

La terza e ultima distorsione che voglio menzionarti è quella del senno di poi. 

Dopo, è sempre tutto facile. Compreso capire dove c’è stato valore negli investimenti. 

Il problema è che questa attitudine di osservare e giudicare dopo, col senno di poi appunto, influenza pesantemente le nostre scelte. Portandoci a prendere decisioni che si basano sul passato nonostante guardino al futuro. 

Sembra logico adottare un certo comportamento dopo che si è rivelato profittevole, o evitarlo dopo che si è rivelato dannoso. Ma il passato è passato mentre il futuro è incerto: non c’è possibilità di evitare certamente dei rischi o di sfruttare certamente delle opportunità guardando a ciò che è stato. 

In altri termini, il senno di poi genera un’illusione di prevedibilità potenzialmente molto pericolosa. Ma spesso non ce ne rendiamo conto. 

Voglio farti un esempio, che per alcuni potrebbe essere doloroso. 

Senza andar lontano, la storia recente ci ricorda che anche in Italia ci sono stati diversi casi di “risparmio tradito”.  

Le persone che abbiamo visto protestare davanti ai tribunali per aver perso tutti i loro soldi, come avevano investito? 

La risposta la conosciamo: avevano messo molto (talvolta tutto) il proprio denaro su un unico strumento.  

Parmalat, Cirio, Argentina, Grecia, banche italiane fallite. Solo per citarne alcuni. 

Tutti casi diversi, ma accomunati dallo stesso, rovinoso e finanziariamente sanguinoso epilogo. 

Sembra incredibile ma situazioni di questo tipo, investimenti azzerati e mai più recuperati, periodicamente si ripetono nonostante l’esperienza ci insegni quanto sia pericoloso concentrare troppo i propri risparmi. 

È molto probabile che simili eventi torneranno a presentarsi in futuro, purtroppo. 

Sia perché le persone hanno la memoria corta, sia perché in agguato ci sono i tranelli del nostro cervello, sempre pronti a farci sbagliare. 

Spero di essere riuscito a spiegarti, finora, perché un principio di investimento così semplice, apparentemente banale ma dannatamente importante viene troppo spesso disatteso nella realtà. 

E spero che ti sia altrettanto chiaro qual è il vero vantaggio della diversificazione. 

Ti concede il lusso di sbagliare. 

Se diversifichi, non devi avere sempre ragione. Se non lo fai, l’errore potrebbe rivelarsi fatale e irrimediabile per le tue finanze.  

Ma se nemmeno in questo modo sono stato in grado di convincerti, voglio provare a portarti un nuovo elemento di riflessione; il vero motivo – scientifico, rigoroso, concreto – per cui dovresti investire diversificando, sempre. 

Hendrik Bessembinder è un economista americano che da molti anni studia i mercati finanziari e le loro performance. 

In uno dei suoi lavori più recenti, cerca di rispondere dati alla mano a una domanda estremamente importante: in che modo gli investimenti azionari battono gli investimenti obbligazionari nel corso del tempo? 

Perché sul fatto che il primo mercato, nel suo complesso, abbia la capacità di generare mediamente un ritorno maggiore rispetto al secondo non ci sono dubbi, lo sappiamo già. 

Quello che invece molte persone non sanno è che non si ottiene lo stesso risultato se, anziché l’intero mercato azionario, si prendono i singoli titoli in esso quotati. 

Provo a riassumere e a semplificare il più possibile lo studio in questione. 

Prendendo in analisi gli ultimi 30 anni di storia finanziaria, Bessembinder ha verificato che il 55% delle azioni americane e il 57% delle azioni scambiate sul mercato azionario globale hanno reso meno dei titoli di stato a breve termine. 

Sul mercato USA, 5 sole società hanno creato il 10% di tutta la ricchezza generata dal mercato nel trentennio. Ma il dato più eclatante è che appena il 2,4% delle aziende quotate è responsabile dell’intera ricchezza generata da questo mercato. 

Se dagli Stati Uniti passiamo all’intera economia finanziaria globale, il dato è ancora più sbalorditivo, perché questa percentuale scende all’1,4%. 

Visto che in mezzo a tutti questi numeri c’è il rischio di perdersi, provo a rendere il tutto ancora più comprensibile. 

Se da circa il 2% delle azioni quotate dipende quella capacità di produrre nel tempo rendimenti elevati e superiori a quanto offrono alternative di investimento più sicure, allora significa che non vale la pena investire nel 98% delle aziende scambiate in borsa. 

Quel 2% fa la differenza, tutto il resto non solo non la fa, ma addirittura produce più rischio e meno rendimento rispetto a un semplice e rassicurante titolo di stato a breve termine. 

Pochissime azioni contribuiscono al rendimento complessivo dell’indice. 

Il punto è che non puoi sapere mai quali sono, prima. 

È ancora più chiaro, adesso, perché non puoi fare a meno di diversificare? 

Per avere la certezza di portarti a casa quel rendimento che è legittimo attendersi dall’investimento azionario, ti tocca prendere tutto il pacchetto, anche se solo una piccola parte di esso ti sarà di aiuto. 

Ti tocca avere in portafoglio i titoli perdenti, se vuoi essere certo di avere quelli vincenti. 

Non è possibile fare diversamente. 

E proprio perché il cervello ti suggerisce che lo è, proprio perché le trappole mentali sono sempre pronte a sgambettarti, hai bisogno di non cadere nelle tentazioni che, purtroppo, sono già state fatali a tanti investitori. 

Ho un’ultima, fondamentale cosa da dirti. 

Messa così, la diversificazione potrebbe sembrare “solo” una questione psicologica, comportamentale. 

E invece no, è anche una questione scientifica, di metodo, di competenze. 

Perché per diversificare non basta mettere in portafoglio di tutto un po’. 

Non basta spalmare la propria ricchezza un po’ di qua e un po’ di là. 

La diversificazione è un processo rigoroso che studia il comportamento reciproco dei diversi investimenti, verifica come questo si evolve e come interagisce nella generazione del rendimento. 

Insomma, occorre saperlo fare. 

E per questo mi piacerebbe mettere a tua disposizione mezzi e competenze di cui dispongo, affinché la crescita del tuo patrimonio non debba mai dipendere dalla buona o dalla cattiva sorte.  

I rendimenti che otterrai in futuro non dipendono dalla fortuna, ma perché abbiano le migliori fortune hai bisogno di essere accompagnato da un consulente esperto e preparato. 

Contattami, non vedo l’ora di aiutarti a far lavorare nel migliore dei modi il denaro per cui hai tanto faticato. 

Come proteggere il tuo futuro dalle crisi, sfruttando le opportunità nascoste del mercato

Un’altra crisi.

Una recessione.

L’aumento generalizzato dei prezzi.

Altre guerre.

La prossima pandemia.

Quando accendi la TV, o leggi i giornali, ti sembra che il futuro sia un tunnel buio senza via d’uscita.

Eppure, ci sono informazioni che non stai considerando perché, come dice anche il detto giornalistico anglosassone: “Una cattiva notizia è una buona notizia.”

Il problema è che le informazioni reali che non vedi, e che non ti fanno vedere, sono quelle che ti aiuteranno a prendere migliori decisioni finanziarie per il tuo futuro.

In particolare, ci sono opportunità profittevoli, che al momento ti stai perdendo, che ti aiuteranno a far crescere i tuoi risparmi nel tempo.

La verità nascosta che nessuno ti dice è questa: il mondo è un posto migliore di quello che ti disegnano.

So che può sembrare la frase di un incurabile ottimista, ma quest’affermazione non nasce da opinioni, bensì dai numeri.

Pensa solo che nel 1950, il 53% della popolazione mondiale viveva in condizioni di estrema povertà, mentre nel 2021 questo numero si è ridotto al 9%. E che, nello stesso periodo, la generazione di ricchezza (misurata dal PIL) è cresciuta come mai prima.

Questi dati rivelano un’informazione importante per te e le tue finanze.

La ricchezza mondiale sta aumentando anno dopo anno.

Tu puoi sfruttare questa crescita a tuo vantaggio per costruire una rendita per il futuro

Prima di mostrarti quanto la ricchezza del mondo sia aumentata in soli 15 anni e qual è l’unico modo sicuro per poter far crescere il tuo denaro, voglio spiegarti perché, nonostante le crisi, il benessere sarà sempre più abbondante.

Il progresso fa parte della nostra storia evolutiva.

Fin dall’antichità, l’essere umano ha progredito in diversi campi, migliorando la sua vita.

Il progresso, però, non potrebbe esistere senza le crisi.

Sono le crisi il motore che spinge gli esseri umani a cambiare e a trovare soluzioni ai problemi.

Ogni giorno, nel mondo, miliardi di persone lavorano in questa direzione, creando servizi e prodotti.

Un esempio?

La pandemia ha creato diversi problemi, portando però a nuove soluzioni:

  • I droni che hanno velocizzato le consegne e la logistica.
  • Le piattaforme e-learning hanno dato la possibilità di lavorare a distanza e di accedere a corsi di università anche dall’altra parte del mondo.
  • La stampa 3D ha permesso a molte aziende di autoprodursi i propri componenti, risolvendo la crisi della fornitura.

Finché nel mondo ci saranno persone che avranno bisogno di prodotti e servizi per risolvere dei problemi e soddisfare dei bisogni, il mercato globale aumenterà.

Ed ecco di quanto e come potrai sfruttarlo per proteggere il tuo futuro

L’indice MSCI world, ovvero l’insieme delle aziende più quotate al mondo, ha avuto una crescita esponenziale: nel 2009 valeva solo 920 punti.

Nel 2024 è arrivato a 3.700 punti.

In 15 anni non è semplicemente aumentato: è quadruplicato.

Immagina cosa vorrebbe dire per la tua vita aver aumentato i tuoi soldi grazie alla crescita di questo indice globale.

Avresti una rendita da poter utilizzare quando smetterai di lavorare e vorrai goderti il tuo tempo libero.

Potresti realizzare i tuoi progetti di vita più importanti come comprare una casa di proprietà, mandare i figli in università prestigiose o aiutare i tuoi genitori nella vecchiaia.

Avresti una sicurezza in più e abbastanza soldi da parte per poter fronteggiare le piccole emergenze e le crisi del futuro.

Se una parte del tuo patrimonio può essere investito nel lungo termine, la miglior decisione finanziaria che puoi fare è partecipare alla creazione di valore che solo il mercato azionario sa generare.

Infatti, sono proprio le aziende che, rispondendo ai bisogni della popolazione, vendono beni e servizi, aumentando il PIL.

Comprando azioni, tu puoi diventare proprietario di una parte di quelle aziende di successo e godere dei loro ricavi e della loro crescita.

“Ma aspetta, io so che il mercato azionario è una montagna russa e che potrei perdere soldi. Come faccio a rendere questo investimento sicuro?”

Ed ecco il modo più sicuro per sfruttare le opportunità del mercato evitando i rischi

Investire è un po’ come giocare a scacchi.

Un abile scacchiere non analizza solo le mosse a breve termine del proprio avversario, ma tiene anche conto di una visione a lungo termine della partita, anticipando le mosse future.

Così anche tu devi analizzare la crescita dei mercati nel lungo termine.

Se lo farai ti accorgerai, ad esempio, che nel 2023 il mercato globale è sceso di circa il 10%.

Ma nello stesso anno è poi anche salito del +23%.

Questa dinamica, fatta di cadute e ripartenze, è nel DNA dei mercati azionari. È del tutto naturale.

Se ti fermi ad osservare le oscillazioni e le discese di breve termine, rischi di perdere di vista l’unica cosa che il mercato ha sempre fatto nel tempo: crescere.

Ecco perché, per guadagnare, occorre investire con una strategia fatta di consapevolezza e di pazienza.

Devi infatti essere consapevole che il percorso dei mercati non è mai lineare e che, con i giusti comportamenti, le sue oscillazioni possono essere sfruttate e non subite.

Allo stesso modo, devi essere paziente perché, diversamente, farai il gioco di chi lo è. Come dice sempre Warren Buffet, “i mercati sono un formidabile strumento per trasferire ricchezza dagli impazienti ai pazienti”.

Ma attenzione, non è finita qui…

Per raggiungere gli obiettivi di vita e far crescere il tuo denaro nel tempo e in modo sicuro devi evitare questo errore molto comune

Investire da solo e con metodi “fai da te” è una scelta che può portarti a perdere i soldi investiti.

Per poter sfruttare le opportunità offerte dalla crescita dei mercati devi avere la giusta strategia e non farti prendere dal panico quando il mercato affronterà la prossima discesa.

Che non sappiamo quando si verificherà, ma che sappiamo ci sarà.

Molte famiglie, durante il Covid, si sono spaventate e, dato che non avevano nessuna guida a cui chiedere consiglio o aiuto, hanno venduto i loro investimenti perdendo anni di risparmi e non partecipando al poderoso rialzo che da quella crisi ha preso il via.

Per evitare di fare la stessa fine, affidati a un consulente finanziario esperto che sia sempre al tuo fianco per aiutarti a fare la scelta giusta, sfruttando le opportunità ed evitando i pericoli.

Quindi, quando sentirai parlare della prossima crisi finanziaria avrai due possibilità.

La prima: lasciarti travolgere dalla crisi come uno tsunami.

La seconda: utilizzare quella crisi come un’opportunità per aumentare il tuo denaro e migliorare la tua vita.

Se vuoi essere fra quelli che riescono a scovare opportunità profittevoli anche quando sembrano non esserci…

E se desideri fare anche tu un passo importante per spingere i tuoi risparmi a generare valore…

Contattatami subito: al tuo fianco, saprò come ottimizzare le oscillazioni dei mercati e sfruttare ogni occasione di crisi per aumentare il tuo capitale.

È proprio vero che per non perdere soldi devi investire?

“Aspetta, ma io sapevo il contrario ovvero che investire è rischioso e che è meglio tenere i soldi sul conto così sono sicuro di non perderli.” 

Qual è la verità? 

Come dice anche il detto: “Dai tempo al tempo”.  

Ovvero, è il tempo a darti le risposte.  

Ecco perché oggi salirai sulla DeLorean, la macchina del tempo del film Ritorno al Futuro, e tornerai indietro per scoprire cosa sarebbe successo oggi al tuo denaro se avessi investito nel mercato azionario. 

Non solo… 

Grazie a questo viaggio nel passato potrai capire quali scelte fare nei prossimi anni per migliorare il tuo benessere finanziario facendo crescere il tuo capitale nel tempo. 

Pronto a partire? 

Motori. Azione. 

La DeLorean sfreccia indietro nel tempo di 10 anni catapultandoti nel 2014, l’anno delle Olimpiadi invernali in Russia, dell’uscita del film The Wolf of Wall Street con Leonardo di Caprio e del tormentone coreano “Gangnam style.” 

Come probabilmente ricorderai, gli investitori sono ancora provati e spaventati dalle tante situazioni di difficoltà vissute negli ultimi anni. 

Il mercato si sta ancora riprendendo dalla Grande Recessione del 2008, mentre il ricordo della Crisi del debito sovrano che ha travolto l’Europa è più vivo che mai. 

In uno scenario d’incertezza sono 3 le decisioni che puoi prendere. 

a-Tenere i soldi sul conto corrente. 

b-Investire in altri beni che ti sembrano più sicuri, come i BTP (i titoli di Stato). 

c-Investire nel mercato azionario per far crescere il tuo denaro, anche se sai che è una montagna russa. 

Una di queste 3 decisioni ti farà vivere nel rimorso. Scopriamo quale…

a-La prima strada: tieni i soldi sul conto, ed ecco cosa succede…

Immagina di trovarti nel 2014 e di avere 100.000 euro da investire o da tenere da parte per le emergenze. 

Vorresti far crescere il tuo gruzzoletto, ma allo stesso tempo pensi a quello che è successo negli anni precedenti e a quanti soldi hanno perso gli investitori che si sono fidati del mercato azionario. 

Gli amici, i parenti e il tuo partner ti dicono che è meglio evitare d’investire perché la borsa è una montagna russa e la discesa vertiginosa è sempre dietro l’angolo. 

Per non rischiare, decidi di tenere i soldi liquidi sul conto così sei sicuro che non li perderai. 

Ma andrà davvero così? 

Metti in moto la DeLorean e vai avanti nel tempo per scoprire cosa succederà ai tuoi soldi che rimangono a stagnare nel conto corrente. 

Facciamo finta che tu sia fortunato e che la tua banca ti offra un tasso per avere tenuto i soldi in deposito presso il loro istituto. 

Secondo Banca d’Italia la remunerazione media è di 0,24% lordo su base annua. 

Quindi, i tuoi 100.000 euro dopo dieci anni sono diventati 102.461 euro grazie al tasso che ti ha riconosciuto il tuo istituto. 

Guardando indietro, quindi, potresti pensare che non ti sia andata poi così male e che lasciare i soldi sul conto corrente sia l’opzione più sicura. 

Ma ti stai dimenticando di un mostro a tre teste che, con gli anni, divora i soldi lasciati sul conto corrente. 

Sto parlando dell’inflazione. 

L’inflazione è l’aumento generalizzato dei prezzi. 

E come sai bene, in questi ultimi 10 anni i prezzi in Italia sono lievitati, specie negli ultimi tempi. 

Cosa significa questo per i tuoi risparmi? 

Significa che i soldi che hai sul conto non valgono 102.461 euro perché il loro potere d’acquisto è diminuito. 

Quindi, anche se nel conto leggi 102.461 euro, in realtà è come se avessi 81.470 euro. 

Ecco cosa succede tenendo tutti i soldi sul conto. 

Facendo questa scelta, hai appena perso oltre 18.000 euro di potere d’acquisto

Visto che al momento sei come un regista che sta rivalutando gli ultimi 10 anni per fare scelte finanziarie migliori in futuro, puoi riavvolgere la pellicola e tornare indietro. 

Quanto avresti guadagnato se, invece di lasciare i soldi sul conto, li avessi investiti nei titoli di Stato? 

b- La seconda strada: i titoli di Stato e le obbligazioni. 

I titoli di Stato sono delle obbligazioni, ovvero dei titoli pubblici che tu puoi comprare per un periodo di tempo predefinito. 

Alla scadenza, hai il diritto di ricevere dallo Stato la somma che hai versato, alla quale si sommano gli interessi che ti sono stati riconosciuti durante la durata dell’investimento. 

Il Ministero dell’Economia mette a disposizione questi titoli per finanziare lo Stato e per dare ai cittadini l’opportunità di far crescere il proprio denaro. 

Sembra troppo bello per essere vero? 

Lo è, perché anche i titoli di stato, come tutti gli investimenti, non sono immuni da rischi. 

A seguito della Grande Crisi del 2008, le banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse per stimolare la ripresa dell’economia. 

Per questo, fino al 2021 i rendimenti riconosciuti sui titoli di Stato erano praticamente pari a zero. 

Poi l’era glaciale si è sciolta e i tassi di interesse hanno cominciato a salire, ma negli ultimi dieci anni il rendimento medio che hanno fruttato i Btp è stato intorno al 2% su base annua.  

In questo modo, i tuoi 100.000 euro sono diventati 118.857 euro. 

Ricordati, però, che c’è sempre il mostro dell’inflazione che colpisce anche i rendimenti dei titoli di Stato. Un mostro che si è fatto sentire parecchio, soprattutto tra il 2021 e il 2023. 

Alla fine, i tuoi risparmi si riducono a 92.760 euro.  

Anche investendo nei titoli di Stato, quindi, il tuo potere d’acquisto si è svalutato lo stesso, facendoti perdere soldi. Molti soldi. 

Come fai, quindi, a evitare di perdere i tuoi sudati risparmi nel prossimo futuro?

c-La terza strada: investire nel mercato azionario

La DeLorean ti riporta nel 2014. 

Questa volta, però, decidi di intraprendere la strada meno battuta e quella che più ti spaventa: investire nel mercato azionario. 

Ignori i consigli dei tuoi amici, colleghi e parenti. 

Sai che il mercato azionario è una montagna russa, ma tu non hai paura perché non investi da solo. 

Decidi di affidarti a un esperto nel settore: un consulente finanziario che nei prossimi 10 anni ti aiuterà a gestire le oscillazioni del mercato, a evitare i rischi e a cogliere le opportunità di crescita che, da solo, non noteresti nemmeno. 

Per mitigare i rischi, il tuo consulente ti consiglia d’investire in uno strumento molto diversificato, un fondo comune di investimento.  

In particolare, questo fondo investe nelle più importanti società di tutto il mondo, che sono quotate sul cosiddetto MSCI World Index, un mercato che contiene 1.500 tra le principali aziende globali. 

In poche parole, adesso possiedi un pezzettino delle migliori aziende del mondo. 

Viaggiando in avanti nel tempo, queste società hanno dovuto affrontare diversi ostacoli… 

Crisi /Guerre /La pandemia.

Questo è il lato oscuro del mondo che hai visto al TG e che hai letto sui giornali. 

Ma c’è anche un altro lato di cui, di solito, i media non raccontano perché non fa notizia. 

Negli anni, il mercato mondiale è stato protagonista di una crescita che ha permesso a chi ha investito in azioni di guadagnare più di tutti. 

Infatti, è vero che i mercati sono come una montagna russa, ma solo se li guardi nel breve termine. 

Quando, però, analizzi l’andamento del mercato nell’arco di 10 anni, come stai facendo tu adesso con la tua DeLorean, ti rendi conto che il mercato mondiale è in crescita costante. 

E questo perché le persone avranno sempre bisogno di comprare beni e servizi per vivere e soddisfare i propri bisogni. 

Investendo nel mercato azionario tu diventi partner della crescita di questo sistema. 

Seguendo questa terza strada, i tuoi 100.000 euro si sono trasformati in 206.840 euro.  

Al netto dell’inflazione. Hai letto bene: già depurata l’inflazione! 

Hai appena guadagnato più del doppio di quello che hai investito…

Immagina come sarebbe la tua vita oggi se negli ultimi 10 anni i tuoi risparmi si fossero duplicati… 

Potresti… 

Comprare finalmente la casa dei tuoi sogni.  

Aiutare i tuoi figli a pagarsi gli studi, anche all’estero. 

Dare ai tuoi genitori le migliori cure e i migliori servizi per godersi gli anni d’oro. 

Usufruire di una rendita da integrare alla tua pensione. 

Il tuo viaggio nel tempo ti ha dato la possibilità di conoscere uno dei segreti per il successo finanziario:  

Le azioni sono l’investimento più precario nel breve termine. Il più sicuro e profittevole nel lungo. 

“Ma io non ho la DeLorean e non posso tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, come faccio?” 

Con il senno del poi tutti sono capaci di fare scelte migliori. 

Questo tuo viaggio nel tempo non deve farti cadere nella trappola del rimorso, ma deve aiutarti nel fare le scelte migliori per il futuro. 

Infatti, non è troppo tardi. 

Anzi, questo è il momento giusto per iniziare perché ora hai le informazioni che ti servono per prepararti al futuro. 

Qualsiasi cosa succederà nei prossimi anni, hai 2 certezze su cui basarti per intraprendere la strada giusta.

La prima è che i prezzi di beni e servizi saliranno. 

La seconda è che il mercato azionario salirà di più, nonostante le oscillazioni che lo caratterizzeranno. 

L’unico modo per proteggere la tua sicurezza finanziaria e non perdere i tuoi preziosi risparmi è investire nel mercato azionario, così eviterai i danni dell’inflazione e farai crescere il tuo capitale. 

Ma ricordati…  

Per gestire le oscillazioni del mercato devi investire a lungo termine e affidarti a un consulente finanziario che ti aiuterà a trasformare questo movimento da nemico ad alleato del tuo patrimonio. 

Grazie alla guida di un esperto, non dovrai più preoccuparti dei momenti di crisi del mercato. Anzi, saprai quale scelta dovrai fare per non perdere soldi. 

E non vivrai nel rimorso, ma potrai afferrare le opportunità di crescita che offre il mercato

Non far passare altri 10 anni e non lasciare che i tuoi risparmi si svalutino nel tempo. 

Contattami e sfrutta la crescita del mercato per aumentare il tuo denaro e costruire la vita che desideri. 

Il miglior investimento da fare se vuoi aumentare i tuoi risparmi, ma pensi che per te sia “troppo tardi”

Dopo una vita di sacrifici e duro lavoro, vorresti solo poterti godere il tuo meritato tempo libero e dedicarti ai tuoi hobby, viaggiare e stare in compagnia delle persone che ami.  

Sai che investire può aiutarti a raggiungere questo obiettivo, ma hai un dubbio…  

“Per me è troppo tardi?”  

“Esiste un’età limite dopo la quale gli investimenti non sono più così efficaci?”  

“Sono troppo vecchio per investire nel mercato azionario?”.  

 

La buona notizia è che non è mai troppo tardi per investire.  

 

Ma per ottenere la rendita che sogni e per soddisfare i tuoi desideri e i bisogni dei tuoi anni d’oro, devi scegliere i giusti investimenti per la tua attuale situazione.  

Infatti, ogni decisione finanziaria va presa tenendo conto della fase della vita in cui ti trovi.  

Per questo motivo devi stare attento alle informazioni finanziarie che leggi sui giornali o su Internet perché, prese fuori contesto, potrebbero spingerti a fare delle scelte di cui poi potresti pentirti.  

Prima di mostrarti qual è la miglior decisione finanziaria che puoi prendere anche se non sei più così giovane, voglio spiegarti come mai ti senti come Roger Murtaugh, il personaggio di Arma Letale, interpretato da Danny Glover, che per tutto il film ripete sempre la frase: “Sono troppo vecchio per queste cose.”  

Infatti, se hai questi dubbi è perché, probabilmente, hai sentito anche tu che prima cominci, più denaro potrai accumulare riducendo i rischi.  

E hai ragione. Il tuo dubbio nasce da un’informazione corretta, soprattutto per quanto riguarda gli investimenti nel mercato azionario 

Investire è un po’ come mettere i soldi da parte in un paniere che li moltiplica. 

Più soldi metti da parte e più tempo li terrai nel tuo paniere, più il tuo patrimonio crescerà.  

Lo dimostrano anche i dati…  

Il mercato azionario ha prodotto un rendimento medio annuo del 10% negli ultimi 50 anni, secondo la performance dell’indice S&P 500, il “paniere” che traccia la performance delle 500 migliori aziende degli Stati Uniti.  

 

Quindi, se oggi avessi 25 anni e investissi 10.000 euro, con questi rendimenti potresti arrivare ai 70 ottenendo alla fine ben 729 mila euro. Un risultato davvero notevole, ma con un piccolo problema di mezzo al quale certamente starai pensando: non hai più 25 anni!  

 

Ma questo non significa che per te sia troppo tardi…  

 

“Ho sempre saputo che se investo in azioni c’è bisogno di molto tempo, esattamente ciò che manca quando vanno avanti gli anni!”  

 

È questa la principale obiezione che continuo a sentire ogni giorno da parte di molte persone, ma è venuto il momento di superare il tabù secondo il quale il mercato azionario diventa un azzardo quando si supera la sessantina.  

Al contrario, questa scelta diventa estremamente sicura se la si imposta nel modo corretto 

Rifletti bene sulla domanda che sto per farti. 

  

Ritieni di dover consumare in vita tutto il denaro di cui disponi?  

 

Rispondere è davvero importante, anzi è fondamentale. Ti spiego subito il perché.  

Se la risposta è “Sì, avrò bisogno di consumare, di erodere tutto ciò che ho messo da parte” allora ti dico subito una cosa: fai benissimo a non considerare il mercato azionario tra le tue opzioni.  

Infatti, se il tuo patrimonio finanziario dovrà essere inesorabilmente utilizzato per vivere, tu non puoi permetterti il lusso di disinvestirlo in qualsiasi momento e di farlo, magari, in una fase nella quale il mercato azionario è in discesa. Significherebbe correre un rischio troppo grande, e con i sudori di una vita non c’è da rischiare.  

C’è da andare sul sicuro.  

 

Se però la risposta è “No, non avrò bisogno di utilizzare tutto il denaro che ho messo via”, se pensi che una parte del tuo patrimonio debba essere destinata a figli o nipoti e che, fino ad allora, l’obiettivo sia ottenere i migliori risultati possibili, allora leggi con attenzione quello che sto per dirti.  

Ci sono preziose opportunità che ti stai perdendo perché nessuno te le ha mai mostrate… 

Se ritieni di non dover utilizzare nei prossimi anni tutto il tuo denaro, il mercato azionario è il miglior mezzo sul quale ti conviene salire per almeno due motivi.  

Il primo: cresce più di ogni altro investimento finanziario.  

Lo dicono i numeri, come già ti ho raccontato prima.  

Per questo, non concentrarti sulla tua età, bensì sull’orizzonte temporale del tuo denaro: se una parte di esso dovrà essere utilizzata dai tuoi cari, verosimilmente tra molti anni, conviene farlo in modo profittevole e ottimizzante per loro, non trovi?  

Se lo investi a lungo termine in qualche obbligazione o se, peggio ancora, lo parcheggi in qualche conto deposito hai una certezza: non potrà mai essere questa la scelta migliore.  

Il secondo motivo per cui ti conviene puntare sull’azionario è che non solo è l’investimento che cresce di più nel tempo, ma è anche quello che ti paga gli interessi più alti. Anno dopo anno.  

Hai presente lo “zerovirgola” che chiedi alla tua banca, sui soldi che hai in conto?  

Hai presente le cedole di BTP e altri titoli di stato a cui dai la caccia?  

Il mercato azionario è molto più gratificante di queste alternative. Ancora una volta lo dicono i numeri, non le opinioni.  

Negli ultimi 15 anni, infatti, i dividendi degli indici azionari internazionali, ovvero gli utili che ricevi dalla società in cui hai investito, hanno superato le cedole delle obbligazioni.  

Sei sorpreso?  

Ci credo, eppure come ti ho già detto non è una supposizione, un’aspettativa, una speranza: è un fatto. 

 

Ecco, quindi, perché è importante che interiorizzi questa nuova preziosa regola sugli investimenti:  

“Il miglior momento per investire è da giovani. Il secondo momento migliore per investire è adesso.”  

In ogni caso, non vorrei averti spinto troppo in là con il pensiero.  

C’è infatti un’ultima cosa che devi sapere, e che probabilmente avrai già sentito: oggi, a 60 anni e anche più, sei ancora un giovanotto!  

Non è una battuta né una frase di circostanza, bensì – ancora una volta – un’evidenza.  

Negli ultimi 50 anni, infatti, sono cambiate molte cose: se mezzo secolo fa l’aspettativa di vita, in media fra uomo e donna, era intorno ai 72,5 anni, oggi ha raggiunto gli 83,1 anni.  

E ancora: lo sapevi che oggi, a 65 anni, un uomo ha una speranza di vita di 20 anni e una donna di 24? (dati ISTAT).  

Arrivati a questo punto, spero di essere riuscito a spiegarti perché non è affatto troppo tardi per investire, specie nel mercato azionario.  

Prima di tutto, però, devi capire quali sono bisogni, esigenze e priorità per il futuro.  

A cosa ti serviranno i soldi nei prossimi anni?  

A cosa ti servono oggi?  

Il primo passo è definire degli obiettivi e scrivere nero su bianco quali sono i tuoi bisogni del presente e del futuro.  

Ed ecco che il segreto è distribuire in modo giusto le tue risorse… 

Il denaro potrebbe servirti per realizzare i tuoi bisogni di oggi e per sostenerti quando sarai libero dal lavoro.  

Oppure, potrebbe servire ai tuoi figli e ai tuoi nipoti per aiutarli a costruire il loro futuro.  

 

Dato che le scelte finanziarie possono influenzare la qualità della tua vita nei prossimi anni, è importante che ti affidi a un consulente finanziario che potrà valutare la tua situazione e, a seconda degli obiettivi e dei bisogni, ti mostrerà la strada da percorrere più adatta a te.  

Contattami per scoprire come pianificare e raggiungere gli obiettivi che più ti stanno a cuore.  

E ricordati…  

Anche se il poliziotto Roger Murtaugh in Arma Letale continuava a ripetere: “Sono troppo vecchio per queste cose”, alla fine le faceva lo stesso.  

Ed è questa la lezione più importante…  

Non lasciare che l’età, i dubbi o i rimorsi ti impediscano di vivere la vita che desideri.  

Non è mai troppo tardi per aggiustare la rotta e pianificare.  

Contattami subito: sono certo di poterti essere di grande aiuto. 

BTP Italia, tutti lo voglio ma quanti lo conoscono?

Che gli italiani siano particolarmente attratti dall’investimento in titoli di stato è cosa ben nota. 

Che tra questi strumenti ce ne sia uno in particolare capace di apparire irresistibile, è invece un fatto piuttosto sorprendente che si sta consolidando negli ultimi tempi sempre di più. 

Sì, sto parlando proprio di lui: il BTP Italia. 

Pensa che negli ultimi due anni il Tesoro ha raccolto oltre 30 miliardi di euro solo dal collocamento di questo strumento. 

A cosa dobbiamo tutto questo fascino? Perché non si fa in tempo a nominare una nuova emissione, che i risparmiatori si mettono in fila per appropriarsene? 

Il motivo è presto detto: ha tutto quello che piace, e anche di più. 

Come negli altri titoli di stato, c’è una cedola semestrale e una data di scadenza certa. 

Come negli altri titoli di stato, ci sono vantaggi fiscali esclusivi: la tassazione agevolata al 12,5% anziché al 26% e l’esenzione sia dall’imposta di successione che dalla dichiarazione ISEE (fino a 50.000 euro, in quest’ultimo caso). 

Ma non è tutto, perché oltre a queste caratteristiche il Ministero del Tesoro ha pensato di aggiungerne altre per renderlo ancora più intrigante. 

C’è, ad esempio, un premio di fedeltà che viene riconosciuto a chi tiene il titolo dalla sua nascita fino alla scadenza. 

E soprattutto, c’è un meccanismo di rivalutazione molto affascinante, grazie al quale l’investitore può ottenere contemporaneamente due vantaggi. 

Il primo: guadagnare di più, se nel periodo di detenzione del titolo si verifica un rialzo dei prezzi di beni e servizi. In pratica, se c’è inflazione si verifica una rivalutazione automatica sia delle cedole che del capitale investito. 

Il secondo: se anziché salire i prezzi dovessero scendere, e se pertanto ci trovassimo in una fase di cosiddetta deflazione, non ci sarebbe alcuna svalutazione dell’investimento. La cedola, in particolare, non potrebbe mai scendere sotto ad un determinato livello fissato inizialmente dallo Stato. 

In altre parole: se il costo della vita sale guadagni di più, se succede il contrario ci guadagni lo stesso. 

Accattivante, vero? Perché mai rinunciare a tutti questi vantaggi? 

E infatti non sono qui per dirti di lasciar perdere, né per trovare necessariamente qualcosa che non funziona e che ti convinca a investire su altro. 

Ho un solo obiettivo: voglio informarti. 

Metterti nella condizione di capire meglio come funziona.  

Ricordarti che non esiste la soluzione perfetta, che nessun strumento finanziario è privo di insidie.  

Compreso il BTP Italia. 

E così, dopo averne elencato i punti di forza, lasciami spendere qualche parola sui punti ai quali dovresti prestare attenzione, alla prossima emissione. 

Il primo: non è un titolo a tasso fisso. 

Molti risparmiatori sono attratti da quelle obbligazioni che pagano un tasso di interesse prefissato e costante per tutta la loro durata. I classici BTP e molti altri titoli collocati negli anni passati dalle banche funzionano in questo modo. 

Il BTP Italia non rientra tra questi: il suo rendimento è variabile, segue l’inflazione e se questa rallenta anche le cedole fanno altrettanto 

È già accaduto di recente, nel 2022, quando i prezzi di beni e servizi erano alle stelle e di conseguenza anche gli interessi riconosciuti agli investitori. Poi, in breve, inflazione e cedole si sono sgonfiate di pari passo. Sei consapevole di questo rischio? 

Il secondo: l’inflazione italiana è storicamente bassa 

Il BTP Italia è agganciato ad un particolare tipo di inflazione che è misurata dal cosiddetto FOI, un indice che tiene conto dei consumi e del tenore di vita medio di una famiglia di operai ed impiegati.  

Storicamente, questo parametro è cresciuto meno rispetto ad altri indici. Paragonandolo ad esempio con l’inflazione rilevata in Europa, si scopre che negli ultimi dieci anni quest’ultima si è attestata al 2,18% mentre quella italiana si è fermata all’1,86%.  

E meno inflazione significa meno rendimento. 

Ora che ti è chiaro questo aspetto, pensi ancora che ne valga la pena? 

Terzo aspetto: se i tassi scendono, tu non ci guadagni 

Tipicamente, ad una fase di ribasso dei tassi di interesse corrisponde un aumento dei prezzi delle obbligazioni. Le quali rappresentano, pertanto, un’opportunità ogni volta che i timori di un rallentamento economico avanzano. 

Di norma, quindi, quando i tassi scendono tu ci guadagni. Ma non con il BTP Italia. 

I titoli a tasso variabile, infatti, reagiscono molto più timidamente alle variazioni dei tassi di interesse, vanificando dunque il profitto che potresti ottenere possedendo un portafoglio obbligazionario ben diversificato. 

Ultimo, ma non ultimo: non dimenticare il rischio Paese. 

L’Italia rimane uno dei Paesi più indebitati al mondo. E anche se ultimamente i mercati si sono ammorbiditi, basta poco per mettere pressione a uno Stato le cui finanze pubbliche sono perennemente fragili. 

Ecco perché l’antica ma mai superata regola della diversificazione vale ancora di più, quando di mezzo ci sono situazioni che, per quanto remote, non possono essere escluse: molte persone sono abituate a concentrare tanto su poco, quando invece il mondo di oggi richiede di concentrare poco su tanto. 

Solo così si può trarre valore dalle innumerevoli opportunità che ci sono, senza farsi carico di rischi inutili ed eccessivi. 

A queste informazioni, di cui sono certo farai buon uso, aggiungo ancora un’ultima riflessione. 

Quando valuti il tuo prossimo investimento, prima di chiederti quali sono i pro e i contro dello strumento, fatti un’altra domanda: è la soluzione giusta per me? 

È quello che mi serve? 

È coerente con il fine che desidero raggiungere con quell’investimento? 

Perché alla fine la verità è che tu non hai bisogno di una cedola, ma di una strategia. 

E mi piacerebbe moltissimo poterti essere di aiuto per trovare quella migliore. 

Parliamone insieme, sono a tua disposizione. 

Più ti muovi, peggio è!

Sì, lo so: il titolo può sembrare fuorviante.

Siamo abituati a sentirci dire il contrario, soprattutto dal nostro medico: più ti muovi, meglio è.

Ma stavolta non si parla di attività fisica. Ti voglio parlare di un altro tipo di movimento: quello che molti fanno con i propri soldi, soprattutto quando i mercati vanno male.

Già, perché mentre le persone sono mediamente pigre nel muovere il proprio corpo, si rivelano mediamente molto più attive quando muovono il proprio denaro.

Tanti ritengono che le continue oscillazioni dei mercati, il cambiamento delle condizioni e gli eventi che si susseguono senza sosta richiedano di agire con frequenza e velocità.

Soprattutto nelle fasi di maggiore difficoltà, quando le borse stanno scendendo, il sentir comune è che non si possa stare fermi.

Insomma, in questi frangenti il consulente finanziario deve farti fare qualcosa, muovere necessariamente il portafoglio, magari liquidando le posizioni per rientrare una volta superati i problemi.

Se non lo fa sembra che non sia né bravo né attento al cliente: mica si può assistere inermi ai mercati che crollano davanti ai nostri occhi!

È capitato anche a te di avvertire queste sensazioni?

Nel mezzo di una correzione di mercato, hai pensato anche tu che il tuo consulente avrebbe potuto e dovuto metterti al riparo da quelle fastidiosissime oscillazioni?

Se la risposta è affermativa, sappi che è del tutto normale. In fin dei conti appare logico e naturale aspettarsi che un professionista intervenga nei momenti di difficoltà per prendersi cura del proprio cliente.

Eppure, se si va un po’ più a fondo, si scopre una realtà diversa.

Nella quale il comportamento che sembra più giusto si trasforma nel comportamento più dannoso.

Almeno per tre motivi, che di seguito vorrei provare a descriverti.

Primo motivo: i giorni migliori arrivano nei momenti peggiori.

Partiamo da una considerazione, apparentemente banale ma necessaria.

I mercati finanziari sono come i bambini piccoli: non stanno mai fermi.

Sono in un moto perpetuo, spesso irrequieti, agitati, stressanti, imprevedibili, apprensivi. Li vedi in un posto e un attimo dopo te li trovi da un’altra parte, in un senso o nell’altro.

Il movimento continuo ed instancabile è una loro caratteristica, non un difetto.

Una caratteristica che si accentua ancora di più quando c’è qualcosa che li turba: è proprio nelle fasi di maggior nervosismo, infatti, che i mercati oscillano di più.

Scendono di più.

Ma per fortuna anche salgono di più.

Già: i giorni migliori arrivano proprio nei periodi peggiori.

Secondo un’analisi condotta da J.P. Morgan, una delle banche più importanti al mondo che prende il nome dal suo fondatore, chi negli ultimi vent’anni si fosse perso le dieci migliori sedute del mercato azionario si sarebbe trovato con un rendimento più che dimezzato.

Dieci giorni, su un orizzonte temporale di vent’anni, sono sufficienti a distruggere un valore impressionante.

Torno all’analogia con i bambini: chi cerca di seguirli in ogni spostamento rischia di inciampare, di perdere la pazienza, di vivere immerso nell’ansia.

Le cose in genere vanno meglio quando si prende atto che non è possibile tenerli in una campana di vetro. Non si può evitare che sperimentino, che sbaglino, che cadano e che si procurino qualche rimediabile cicatrice.

Con gli investimenti non è molto diverso: bisogna accettare la loro irrequietezza, consapevoli che questa caratteristica è ciò che li renderà più forti, resilienti, ambiziosi.

Una volta prese le dovute precauzioni e impostate poche e fondamentali regole, lasciarli fare è il comportamento migliore possibile, per puntare in alto.

Secondo motivo: se ti guardi indietro, cosa vedi?

Magari con i mercati finanziari non hai ancora una grande confidenza.

Magari ti senti un debuttante, come un giovane atleta che fa il suo esordio e non sa ancora esattamente che cosa lo aspetta in campo.

In tal caso, sei ampiamente giustificato.

Se però con le borse e gli indici hai un minimo di esperienza in più, c’è una domanda importante sulla quale vorrei che tu riflettessi.

Quante volte ti sei trovato nel mezzo di una fase particolarmente incerta?

Quante volte hai già pensato che quella crisi fosse “diversa dalle altre”, hai già sentito radio e tv parlare di “miliardi che bruciano”, hai già assaporato – si fa per dire – quella sensazione di tracollo imminente?

Tante. Se i tuoi risparmi sono investiti da qualche anno, sicuramente questi sentimenti fanno già parte del tuo bagaglio esperienziale.

Come ti sei comportato, in quelle occasioni?

Hai venduto, in attesa di tempi migliori? Se lo hai fatto, sei poi riuscito a rientrare nel momento giusto?

La risposta la conosci benissimo.

Sarebbe fantastico poterlo fare. Ma la verità, come recita il titolo di questo articolo, è sempre la stessa: più ti muovi e peggio è.

Sai già che non è possibile fare diversamente, lo hai sperimentato. Perché ricadere nello stesso errore?

Terzo motivo: guarda la luna, non il dito.

I mercati sono bravissimi a mandarci in confusione.

Si fanno a lungo timidi e silenziosi, mentre celebrano nuovi record e vette mai toccate prima. Poi, improvvisamente, riescono a calamitare su di sé tutta l’attenzione possibile quando attraversano i momenti di criticità.

In queste fasi il rischio di perdere la bussola è altissimo.

Distrarsi dalle cose che contano davvero è quasi una garanzia.

Ma è proprio lì che occorre fare una cosa apparentemente semplice e terribilmente complicata, mentre si attraversano le incertezze.

Occorre guardare la luna e non il dito.

Pensare agli obiettivi e non alle situazioni.

In quei momenti, il motivo che ci ha spinto ad investire perde improvvisamente valore, rischia di essere dimenticato e di affogare nella vana pretesa di mettersi al riparo dalla momentanea ed effimera turbolenza dei mercati.

Sappi che, proprio in questi frangenti, il mio ruolo sarà quello di spostare il tuo sguardo su ciò che non puoi permetterti di trascurare.

Perché il raggiungimento di qualsiasi esigenza, traguardo o bisogno tu possa avere, sarà sempre infinitamente più importante del fastidio, comprensibile ma insignificante, generato dalle oscillazioni dei mercati.

Ogni volta che ti sembrerà naturale “muoverti”, spostando il tuo denaro per proteggerti dal momento, io sarò lì per aiutarti a restare fermo su ciò che conta davvero.

Perché, almeno in finanza, più ti muovi… peggio è.

Protezione / Assicurativo


L’importanza di essere indipendenti, anche quando non lo si è più

Spesso si dice che ci si accorge dell’importanza di qualcosa solo quando si è sul punto di perderla.

È un’affermazione in parte retorica, ma al tempo stesso tremendamente vera e valida per situazioni molto diverse tra loro.

Questo perché la libertà ha un sapore straordinario, ma spesso banalizzato: poter fare ciò che si desidera sembra scontato, fino all’esatto momento in cui non lo è più.

Pensa, ad esempio, all’essere indipendenti.

All’indipendenza finanziaria e, ancor di più, a quella fisica: essere indipendenti significa essere in grado di fare da soli.

Al tempo stesso, significa evitare di condizionare gli altri.

È un po’ come avere le chiavi di casa sempre in tasca. Poter aprire la porta quando si vuole. Uscire, rientrare, decidere cosa fare e quando farlo.

Gesti semplici, ovvi, sottintesi.

Ma cosa succede se quelle chiavi, un giorno, non ci sono più? Se la porta diventa improvvisamente difficile da aprire, se hai bisogno di qualcuno che ti aiuti?

In genere, il pensiero che sopraggiunge è piuttosto prevedibile.

“Dovevo pensarci prima”.

Non ci voleva molto! In fondo bastava fare una copia delle chiavi e trovare un posto sicuro dove custodirle. E proprio in quel momento ti assalgono i sensi di colpa e di inadeguatezza che ti portano a recriminare su ciò che potevi fare e che non hai fatto.

Certo, a volte non è così semplice evitare i problemi.

A volte, serve qualcosa di molto più impegnativo rispetto a qualche piccolo accorgimento.

Ma anche in questi casi, vale sempre una regola: agire prima costa molto meno che agire dopo.

E può fare una differenza inimmaginabile.

Per essere più concreto, voglio condividere qualche dato su un tema che va di pari passo con l’indipendenza: la non autosufficienza.

Chi versa in questo stato non solo perde la propria libertà e, appunto, la propria indipendenza.

Soprattutto, condiziona – talvolta rivoluziona – la vita degli altri.

Che è esattamente ciò che tanti sperando di evitare: un genitore con un figlio o una persona con il proprio partner, tanto per citare esempi frequenti.

Eppure, i numeri raccontano una realtà molto cruda.

Ne bastano pochi, per capire quanto la perdita di indipendenza fisica – già di per sé difficilissima da affrontare – rischi di esserlo ancora di più, se non si prendono le decisioni giuste.

Secondo la SDA Bocconi, in Italia ci sono oggi oltre 4 milioni di persone anziane non autosufficienti.

Oltre 4 milioni di persone che avrebbero diritto a prestazioni di Welfare sancite dalla Costituzione italiana, in particolare dall’articolo 32 che garantisce “cure gratuite agli indigenti”.

E che invece devono fare i conti – in tutti i sensi – con uno Stato che li lascia sempre più soli.

Se ci limitiamo a dare uno sguardo ai servizi assistenziali pubblici, osserviamo che solo una piccola percentuale di quelle persone ha diritto ad accedervi.

Per la precisione, i posti letto in strutture residenziali (RSA e case di riposo, per intenderci) coprono appena il 7% della platea.

E anche i servizi più basici sono del tutto insufficienti: mettere a disposizione della persona non autosufficiente un infermiere o un medico presso il suo domicilio è un privilegio che spetta al 30% degli aventi diritto.

Questi pochi numeri evidenziano una situazione tanto chiara quanto sconcertante: chi non ha la “fortuna” di rientrare in queste sparute minoranze, deve sostenere le prestazioni da sé.

Di tasca sua.

O grazie a quella dei familiari e degli affetti più stretti.

Questo accade oggi, ma come potrà mai evolvere la situazione in un Paese come il nostro, interessato dall’invecchiamento demografico che ormai tutti conoscono?

Come potranno migliorare le prestazioni di Welfare, se all’avanzare degli anni avanzano inevitabilmente anche i problemi connessi alla sfera della non autosufficienza?

Di fronte a questa consapevolezza chiunque di noi può scegliere.

Non certo sul fronte fisico, in buona parte non governabile.

Quanto sul fronte finanziario, molto più controllabile.

Per evitare così che la perdita di indipendenza faccia il paio con la perdita di dignità, che ineluttabile sopraggiunge quando non si dispone delle risorse sufficienti a garantire supporto, assistenza, vicinanza.

Ognuno di noi, dunque, può scegliere.

Può lasciare che decida il fato, sperando che la buona stella lo assista permettendogli di vivere la terza età in salute e in buona forma.

Oppure può lasciare di non lasciare nulla al caso.

Mettendo da parte una coperta prima che arrivi l’inverno, e attivando prima i comportamenti utili a evitare che al declino fisico si sommi quello finanziario.

Questo obiettivo si può raggiungere in due modi, sostanzialmente.

Il primo prevede di accantonare le risorse necessarie per far fronte alle uscite che scattano inevitabili, in simili situazioni. Eppure, la presenza di una persona preparata e professionale o l’accesso a strutture specializzate può arrivare a costare diverse migliaia di euro al mese.

Questo primo sentieri, dunque, rischia di essere particolarmente impegnativo, impervio, dissestato e faticoso.

Meglio forse pensare al secondo.

Che non richiede di risparmiare quantità di denaro difficilmente risparmiabili, per la maggioranza.

Richiede piuttosto di investire molto meno, per avere molto di più.

È questo ciò che accade quando ci si assicura: si investe una somma relativamente piccola, per avere a disposizione al momento del bisogno una somma molto più grande.

Sufficiente ad essere finanziariamente sereni, visto che fisicamente non è sempre possibile esserlo.

E a essere indipendenti, anche quando non lo si è più.

Quanto vale tutto questo per te?

Quanto è importante non perdere le chiavi che oggi hai in tasca, e sulle quali fai cieco affidamento?

Lascia che ti aiuti a trovare la rotta giusta, prima che il cielo si faccia minaccioso.

La tua serenità e quella delle persone più care meritano di essere pianificate con attenzione, fermandosi un momento.

Per poi riprendere la corsa, più tranquilli e consapevoli che mai.

Ti sei mai chiesto quanto vali?

In un mondo ideale il valore di una persona non si dovrebbe misurare in termini materiali o finanziari. 

Piuttosto, dovrebbero contare le qualità e le emozioni che una persona riesce a portare nelle sue relazioni, nei suoi rapporti umani. 

La capacità di amare, l’affetto che si riesce a dare, la comprensione, l’aiuto offerto agli altri. Sono questi gli aspetti che ci definiscono, che arricchiscono e che lasciano un segno. 

Ma nel mondo reale — quello fatto di bollette, impegni e responsabilità — c’è anche un altro tipo di valore che dobbiamo considerare: il valore economico di una persona. 

Può suonare freddo, persino cinico. Ma è un passaggio necessario. 

Perché serve attribuire un valore economico a una persona? 

Perché ci sono situazioni in cui la stabilità finanziaria di una famiglia dipende in modo diretto da quel valore. 

Pensiamo a cosa accadrebbe se venisse a mancare un genitore che contribuisce in modo rilevante al reddito familiare. 

O a quanto inciderebbe una condizione di invalidità permanente nella vita quotidiana, nelle spese mediche, nei progetti per il futuro. 

O ancora, al lavoro — spesso invisibile ma indispensabile — svolto dalle mamme che seguono i figli, gestiscono la casa, organizzano ogni dettaglio della vita familiare, evitando costi che altrimenti ricadrebbero sul bilancio. 

In casi come questi, quantificare il valore di una persona in termini monetari è assolutamente indispensabile. 

Diversamente, in che modo si potrebbe proteggere questo enorme capitale di cui troppo volte non ci rendiamo conto e che diamo spesso per scontato? 

Farlo però non è semplice, e richiede di partire da un presupposto determinante: non esiste una cifra valida per tutti. 

Non è possibile standardizzare questo valore. 

Il capitale assicurato che serve a ciascuno dovrebbe essere calibrato sulle reali caratteristiche della persona: reddito attuale, potenziale di crescita, età, tenore di vita, prospettive. 

Ti sto dicendo questo perché situazioni come quella che sto per raccontarti sono purtroppo molto comuni. 

Pensa a una persona come Massimo: quarant’anni, ingegnere appassionato del suo lavoro, con moglie e due figli.  

In molte famiglie come la sua, il reddito principale sostiene tutte le spese: la casa, l’istruzione, i progetti per il futuro. 

In uno scenario simile, la cosa più probabile è che questo patrimonio non venga nemmeno preso in considerazione perché “non si vede”. 

Non è come il conto in banca, una casa o un’opera d’arte, tutte attività rappresentative di un patrimonio tangibile. 

La capacità di generare reddito da parte di Massimo non si tocca con mano, non è visibile agli occhi. 

E non si può proteggere ciò che non si vede. 

Quando invece questa ricchezza viene considerata, può capitare di affidarsi a una copertura assicurativa minimale, perché “almeno qualcosa è meglio di niente”.  

Oppure — come accade ancora più spesso — non si fa nulla, rimandando la decisione a tempi “più maturi”, quando si avrà più tempo o più soldi. 

Ma se un imprevisto serio si presenta — ad esempio un’invalidità o una lunga inabilità lavorativa — le conseguenze economiche possono essere devastanti.  

Le coperture, se presenti, risultano spesso insufficienti, e la famiglia deve affrontare un drastico ridimensionamento del tenore di vita: vendere la casa, tagliare sulle spese, rivedere i progetti per i figli. 

Questo esempio, pur nella sua semplicità, evidenzia bene un aspetto fondamentale. 

Non si può proteggere bene ciò che non si è valutato bene 

Se non conosci quanto “vali”, non puoi decidere né se né come tutelarti davvero. 

Una storia simile può essere considerata estrema, improbabile, trascurabile in termini statistici. In realtà, nella mia esperienza, ho purtroppo dovuto confrontarmi diverse volte con situazioni simili. 

Sono più frequenti di quanto sembra. 

E confermano quanto sia cruciale valutare con attenzione il valore economico di una persona, prima che accada qualcosa. 

E allora torniamo al quesito iniziale: quanto vali? 

È una domanda poco romantica, certo.  

Che può diventare anche scomoda.  

Ma che è altrettanto necessaria. 

Serve per definire la rete di sicurezza giusta per te e per chi ami. Serve per non sottovalutare ciò che c’è in gioco. 

Per capirlo, dobbiamo riprendere il concetto che finora ho provato a descriverti nella storia di Massimo o negli esempi precedenti. 

Questo concetto ha un nome: Capitale Umano. 

È il valore economico delle tue competenze, del tuo tempo, della tua capacità di produrre reddito da qui fino alla pensione. 

Non è solo il valore della ricchezza che puoi generare, ma anche di quella che non devi utilizzare per riconoscere il lavoro degli altri. Come nell’esempio di prima, quando mi riferivo alle mamme che spendono un numero sconfinato di ore per fare i “manager della famiglia”. 

Il Capitale Umano, per poter essere calcolato, non deve tener conto solo di quanto guadagni oggi, bensì di quanto potresti guadagnare lungo tutto il tuo percorso lavorativo, tenendo conto della tua età, delle prospettive di crescita, del settore in cui operi. 

I fattori che lo determinano sono sostanzialmente due: 

  1. Gli anni che mancano al pensionamento 
    Più sei giovane, più ampio è l’orizzonte temporale in cui potrai generare reddito. E più alto sarà il tuo Capitale Umano. 
  1. Il reddito annuo e le sue attese di crescita 
    A parità di età, chi ha un reddito maggiore e aspettative di un suo incremento ha ovviamente un Capitale Umano più elevato. 

Conoscere questo valore non è solo un esercizio teorico.  

È ciò che ti permette di capire con esattezza cosa proteggere. E quanto. 

E allora, vuoi scoprire quanto vali? 

Ora che hai colto l’importanza di questa valutazione, ti propongo di fare un passo concreto in avanti. 

Possiamo calcolare il valore economico associato alla tua persona, partendo dalla tua situazione reale. 

Non è un’operazione complicata, ma richiede attenzione. E soprattutto richiede tempo per essere fatta bene. 

Il risultato sarà un numero.  

Ma quel numero racconterà molto di te: di ciò che costruisci ogni giorno, di quanto vale il tuo impegno, di quanto può essere importante mettere in sicurezza ciò che ami. 

 Se vuoi, possiamo farlo insieme. 

Perché sapere quanto vali davvero è il primo passo per proteggerti nel modo giusto. 

“Quanto mi costa la polizza?” è la peggior domanda che tu possa farti

“Quanto mi costa la polizza?” è la peggior domanda che tu possa farti 

 

Ormai è una garanzia. 

Ogni volta che sei in macchina con la radio accesa o che sei a casa e ascolti il telegiornale, il tenore delle informazioni che ti giungono all’orecchio è di una fastidiosa prevedibilità. 

Secondo numerose ricerche internazionali, fino al 90% delle notizie riporta eventi negativi. 

Perché la notizia è tale quando è negativa, si sa. 

Le good news non se le ricorda nessuno o quasi, mentre quelle cattive rimangono ben impresse e il nostro cervello apre i cassetti mentali che le contengono molto più frequentemente di quanto non faccia con le notizie buone. 

Un po’ come quando vai al ristorante e mangi dieci volte bene, non fa notizia. 

Ma se l’undicesima mangi male, te la ricordi. Eccome se te la ricordi. 

Magari concedi al locale un’altra opportunità (forse), ma di certo una volta in cui mangi male vale molto di più di una volta in cui mangi bene. 

Che i media calchino la mano su accadimenti più o meno disgraziati, è risaputo. 

Che con un incidente, le conseguenze di un’ondata di maltempo o le vicende di cronaca nera ci si ricami molto se non troppo a lungo, è risaputo. 

Detto tutto questo, è altrettanto risaputo anche un altro aspetto: le cose succedono. 

Succedono le cose belle, e per fortuna molto più spesso di quanto non ci si faccia caso. 

Ma succedono anche le cose brutte. 

Non ti sto dicendo niente che già non conosci, lo so. 

Conosci tutto questo talmente bene che chissà quante volte ti sarai ripetuto la frase … 

“Devo fare qualcosa”. 

Quando senti di alluvioni, esondazioni e grandinate che distruggono le case degli altri e tu non hai ancora pensato a mettere in sicurezza la tua, sai che dovresti fare qualcosa. 

Quando senti di incidenti e problemi seri che entrano a gamba tesa nella vita degli altri stravolgendola e tu non hai ancora agito per limitarne le conseguenze dovesse toccare a te, sai che dovresti fare qualcosa. 

Sai benissimo che dovresti fare qualcosa, che servirebbe intervenire, che star fermi è sbagliato, ma la mente umana è per certi versi diabolica: appena quello stimolo esterno che ti ha portato a fare una riflessione profonda su di te si allenta, la percezione di urgenza che avevi prima scompare. 

Metti la questione in coda, insieme a un sacco di altre cose. 

Poi magari capita che, un giorno, torni sull’argomento. 

Non perché ti succede qualcosa (per fortuna!), ma semplicemente perché ne parli con un collega, un amico, in famiglia, o perché te lo ricorda una pubblicità che vedi in tv. 

E con la mente ritorni a quando ti dicevi “devo fare qualcosa”. 

Non ami particolarmente le assicurazioni, ma soprattutto non ami l’idea di dover incrementare ulteriormente con il premio della polizza la tua già nutrita lista di uscite ricorrenti. 

C’è il mutuo, il piano di risparmio, le bollette, la paghetta dei ragazzi, le loro attività, e poi c’è la pay-tv per le partite e i film, a cui magari si somma la pizza con la famiglia o la gita fuori porta con gli amici…Insomma bisogna pur vivere e togliersi anche qualche piccola soddisfazione, no? 

Ma torniamo all’assicurazione che sai di dover fare ma per la quale ti scoccia terribilmente spendere. 

Ed ecco che, parlando con chi l’ha già fatta o navigando per il web ti fai la più classica delle domande. 

“Quanto mi costa la polizza?” 

Vorrei dirti subito una cosa: questa domanda è del tutto legittima e naturale. 

Me la sono fatta innumerevoli volte e continuerò a farlo in futuro a proposito di mille cose: quanto mi costa una cena, un abito, una vacanza, una macchina. Qualsiasi bene o servizio ha un costo e, prima di tirar fuori dei soldi che nessuno ci regala, vogliamo capire se ne vale la pena. 

Se la differenza tra il beneficio percepito dall’acquisto e il costo sopportato per farlo restituisce un saldo positivo. Un vantaggio, qualcosa di utile. 

Ripeto, è normale che sia così: non vivo su Marte e ti capisco perfettamente. 

Allo stesso modo, devo però dirti che questo dubbio così lecito e genuino rischia di trasformarsi in un errore gravissimo. 

Se ti portasse a setacciare l’intero mercato alla ricerca della polizza che costa meno, potrebbe essere un errore gravissimo. 

Se, ancora peggio, ti portasse a desistere dalla sottoscrizione del contratto in quanto eccessivamente oneroso, potrebbe essere un errore gravissimo. 

Ma facciamo un passo alla volta, senza fretta. 

Prima di procedere all’acquisto di un bene o servizio, farsi fare più preventivi da più interlocutori è un’ottima idea ad una condizione: che l’oggetto del contendere sia lo stesso identico bene o servizio. 

E nel mondo assicurativo, questo requisito è molto raro. 

Tranne che in alcuni casi, le polizze sono tra loro molto diverse. SEMPRE. 

La polizza sulla casa fatta con la Compagnia Alfa o la Compagnia Gamma non sarà mai la stessa.  

Solo per farti qualche esempio: in caso di incidente, la prima potrebbe indennizzarti tutto il danno mentre la seconda soltanto una parte; la prima potrebbe prevedere un ventaglio di coperture molto più ampie mentre la seconda circoscriverne la tutela; la prima potrebbe estendere i propri effetti a danni accessori mentre la seconda potrebbe escluderli. 

Insomma, la prima potrebbe essere certamente più gratificante della seconda, nel malaugurato caso dovessi subire un sinistro. 

Come potrebbe avere lo stesso prezzo? 

In sintesi, la raccomandazione che ti faccio è semplice ma estremamente importante: prima di chiederti quanto costa l’assicurazione e di inseguire improbabili offerte in ogni angolo del web, chiediti come deve essere fatto quel contratto per rispondere alle tue esigenze e mettere in sicurezza il tuo patrimonio.  

Il secondo rischio dietro al tema del costo è, come ti dicevo, ancora più insidioso e potenzialmente controproducente: non far niente, rimandare, procrastinare, trovando un alibi perfetto per farlo. 

“Non me lo posso permettere, costa troppo”. 

Certo, sono il primo a dirti che alcune coperture assicurative non sono alla portata di tutti. 

Sono il primo a dirti che in ogni famiglia ci sono degli equilibri finanziari da rispettare, e che anche volendo non si può dar seguito a qualsiasi desiderio, fosse anche nobile e lungimirante. 

Mi permetto però anche di farti riflettere su qualche altro aspetto. 

Pensa per un attimo a quello che hai costruito in questi anni: la tua famiglia, la tua posizione professionale, la tua casa, e via discorrendo. 

Pensa alla fatica che verosimilmente hai fatto, giorno dopo giorno, per arrivare dove sei arrivato. E a quanto vale che tutto ciò ci sia, sempre. Qualsiasi cosa accada. 

A questo punto ti chiedo: tutti i sacrifici profusi meritano davvero di essere messi in discussione da un imprevisto? 

Può un evento fortuito, magari anche improbabile – ma sempre possibile – pregiudicare quello che hai costruito? 

Perché è vero: non puoi azzerare la probabilità che l’imprevisto si presenti, ma puoi azzerare la probabilità che tu, la tua famiglia o il tuo patrimonio da quell’imprevisto ne escano finanziariamente danneggiati. E non è un dettaglio. 

C’è ancora un ultimo aspetto sul quale sono sicuro che, soffermandoti a pensare, sarai d’accordo con me. 

Quando dici che la polizza costa troppo, prova a rispondere a un’altra domanda. 

Se pensi di non poterti permettere l’assicurazione, in che modo potresti permetterti di sostenere le conseguenze di un problema improvviso, molto più costoso della polizza?  

Mi fermo qua, credo di averti dato spunti a sufficienza su cui riflettere. 

Capisco che, di fronte a queste domande, i dubbi potrebbero aumentare anziché diminuire. 

Il senso di disorientamento è verosimile che si accentui, nel cercare la direzione giusta per uscire dal labirinto di incertezza nel quale ti trovi. 

Credo sia la sensazione più logica e naturale quando ci troviamo di fronte a cose che non conosciamo alla perfezione. 

I consulenti, in tutti i campi, esistono proprio per questo: aiutare le persone a trovare la soluzione più adatta. 

E i consulenti finanziari, quelli bravi, fanno una cosa ancora più importante: aiutano le persone a non rimanere mai senza soldi, qualsiasi cosa accada. 

Se anche per te mettere in sicurezza il tuo patrimonio viene prima di tutto ma non sai come farlo e pensi di non riuscire a trovare il bandolo della matassa, tra le mille alternative e situazioni che ti si presentano, sarò felice di darti una mano. 

Affinché quel “so che devo fare qualcosa” possa presto trasformarsi in “so di aver fatto la cosa giusta”. 

Contattami subito, troveremo la strada giusta. Insieme. 

“Tanto a me non succederà:  perché ignorare i rischi è il rischio più grande”

So già a cosa stai pensando: è arrivato il solito consulente/assicuratore che parla di disgrazie perché vuole convincermi a fare una polizza. Ho indovinato?  

Nonostante questo tema susciti sempre scongiuri e gesti scaramantici di ogni tipo, ti garantisco che no, non ti scrivo affatto con l’obiettivo di farti fare una polizza.  

Ti scrivo per confessarti che io per primo, come consulente, troppe volte in passato ho dato poca importanza a questo argomento, e vorrei che tu non commettessi lo stesso errore.  

L’ho snobbato, trascurato, addirittura evitato, perché io per primo ho spesso pensato quello che la maggioranza di noi pensa: “Tanto a me non succederà”.   

Poi però mi sono ravveduto e ho smesso di credere alla mia invulnerabilità.  

Perché, sotto sotto, tutti crediamo di essere immuni dagli eventi peggiori.   

Eppure, quando capitano ad altri, siamo i primi a scuotere la testa e a dire: “Poverino, che sfortuna”.   

Forse la fortuna c’entra, ma molto più spesso è una questione di scelte. 

Se anche tu almeno una volta hai pensato “A me non succederà mai“, prenditi qualche minuto e continua a leggere. 

Ogni volta che parlo di questo argomento so già il ventaglio di risposte pronte all’uso.  

“Un crollo del tetto per una tempesta? Impossibile, vivo in una zona tranquilla, non è mai successo”.  

“Problemi di salute in vecchiaia? Difficile, mi tengo in forma e presto attenzione a quello che mangio”.  

“Esaurire i risparmi? Non succederà, ho un buon lavoro e sono attento ai miei soldi”. 
 
Il punto è che, per quanto tu cerchi di prevenirli, ci sono rischi che si insinuano dove meno te lo aspetti.  

E, credimi, ignorarli è un rischio molto più grande che affrontarli.   
 
Non è pessimismo, è pura realtà.   

Molti rischi sono sempre più probabili, vicini, reali. 

Ma andiamo con ordine e partiamo dalle questioni climatiche.  

Lo sapevi che nel 2023 ci sono stati 378 eventi climatici estremi in Italia? È un numero che appare inverosimile, più di un disastro al giorno.  
I dati dicono che sono aumentati del 22% rispetto all’anno precedente.   
 
Trombe d’aria, grandinate, alluvioni: non sono più scene da film catastrofici, ma sono la cronaca quotidiana.   

Questi eventi colpiscono purtroppo le persone, ma ancora più spesso colpiscono il patrimonio delle persone. In particolare, la casa, che è ancora oggi il primo bene detenuto dalle famiglie italiane. 

Eppure, nonostante questo, solo il 6% delle abitazioni è assicurato contro questi eventi.  

E tu? Sei tra questi o fai parte del 94%?   

Se ti trovi tra coloro senza protezione, hai mai pensato a quanto ti costerebbe ricominciare da zero?  

Preferiresti trovarti in questa situazione o dedicare una piccola somma per togliere di mezzo per sempre questa preoccupazione?  

Personalmente, penso che, se la casa nella quale vivo e per la quale ho duramente lavorato fosse danneggiata per un motivo qualsiasi, sarebbe certamente un problema.  

Ma penso anche che sarebbe un problema ancora maggiore se ad essere danneggiato fossi io stesso 

E, con me, la mia capacità di generare reddito da mettere a disposizione delle persone a me più care.  

Se improvvisamente non guadagnassi più, in che modo il tenore di vita della famiglia potrebbe essere mantenuto?  

In che modo potrei consentire ai miei figli di portare a termine gli studi?  

In che modo potrei pensare di comprare quella seconda casa al mare che tanto, un giorno, vorrei avere?  

Sono certo che farsi queste domande non sia insolito, né infrequente. Chissà quante volte te le sei fatte anche tu, per poi pensare che, alla fine, forse era meglio non pensarci. Forse era meglio allontanare i cattivi pensieri e continuare la vita di tutti i giorni.  

Il punto è che non si tratta affatto di fare cattivi pensieri: non è vero che chi parla di assicurazioni parla di “cose brutte”.  

Anzi, è esattamente il contrario: chi parla di questo tema cerca di fare in modo che accadano le cose belle della vita, nonostante gli eventi dannosi che a volte possono capitare.  

Anche perché, se rifletti un attimo, sarà sempre più inevitabile confrontarsi con alcune di queste situazioni.  

Ti faccio un esempio: in Italia, oggi, le persone con più di 65 anni rappresentano il 24% della popolazione totale. Erano il 19% 20 anni fa, nel 2050 saranno il 35%. In altre parole: il Paese sta invecchiando, e pure velocemente.  

Vivere più a lungo è di certo una straordinaria notizia, ma dall’altro lato pone una questione: chi si prenderà cura della popolazione più anziana, se questa platea di persone sarà sempre più numerosa?  

Lo Stato?  

Difficile riesca a dare tutto ciò che serve: pensa che già oggi in Italia ci sono 4 milioni di anziani non autosufficienti, e la maggior parte di loro non riceve l’assistenza pubblica a cui avrebbe diritto.  

Se già oggi i dati dicono questo, cosa mai potranno dire quando l’invecchiamento e le sue conseguenze sulla salute e sull’autonomia delle persone faranno il loro corso?  

È uno scenario del tutto naturale, quasi scontato. Eppure, molte persone, non lo vedono o non lo vogliono vedere. 

Aspettano e sperano che nulla accada, per poi dire, troppo tardi:  

“Avrei voluto pensarci prima” 

La domanda, quindi, non è “Succederà?” ma piuttosto “Cosa farai quando succederà?”.   

Ora che ti è chiara la profondità del problema, deve esserti altrettanto chiara la semplicità delle soluzioni.  

Già, perché il tuo consulente può darti queste soluzioni. Non ha né bacchette magiche né sfere di cristallo, eppure è in grado di offrirti ciò che serve per allontanare queste preoccupazioni. Una volta per tutte.  

Queste soluzioni rispondono al nome di polizze assicurative.  

Quando sottoscrivi un’assicurazione, ti stai liberando di un peso.  

Stai scaricando le conseguenze economiche di un evento dannoso su un soggetto (la Compagnia Assicurativa) che è disposto a prendersi questo rischio.  

E se stai pensando,Sì, ma è troppo costoso”, ti invito a riflettere. 

Primo, perché prima ti attivi e più ti accorgerai che il premio per garantirti questa sicurezza è meno impegnativo di quanto pensi.  

Secondo, perché domandarsi quanto ti costa assicurarti è la domanda sbagliata.  

La domanda giusta sulla quale ragionare è: quanto ti costa non farlo? 
 
Quanto ti costerebbe perdere ciò che hai?   

Mettiti nei panni di te stesso, un minuto dopo che ti succede qualcosa. Non necessariamente qualcosa di estremo: un infortunio che ti costringe ai box per qualche tempo, una grandinata che danneggia parte del tetto di casa. In quel momento, DOPO che è successo, quanto pagheresti quella polizza che non hai voluto fare PRIMA?  

Lo sai anche tu: molto di più di quello che ti sarebbe costata.  

Ecco, fai in modo che queste situazioni non possano mai verificarsi.  

Parla con il tuo consulente finanziario, per capire in che modo la protezione del tuo patrimonio e della tua famiglia può essere migliorata.  

È il miglior investimento che puoi fare nei confronti di te stesso e delle persone che ami.  

Perché in fondo, se ci pensi, proteggere è la voce del verbo amare.  

E ignorare i rischi che ci circondano è proprio il rischio più grande, un rischio che nessuno può più permettersi.  

Le assicurazioni sono troppo complicate?

Le assicurazioni sono troppo complicate?   
Ecco perché non lo sono affatto 

Quando hai scaricato l’ultima app, hai accettato i “termini e condizioni” senza leggere una parola, vero?   

Non preoccuparti, sei in buona compagnia.   

Magari ti è successa la stessa cosa con una polizza assicurativa: pagine e pagine di termini tecnici che sembrano scritti in una lingua aliena.   

Eppure, c’è una differenza enorme: accettare termini per una app può costarti qualche spam in più nella casella e-mail.   

Firmare una polizza senza capirla, può costarti molto di più.  

Ma oggi voglio fare chiarezza, smontare questo mito per il quale le assicurazioni sono complicate e ingannevoli e farti vedere come le cose possano essere molto più semplici di quanto immagini.  

Partiamo da una verità scomoda: sì, i contratti assicurativi sono molto tecnici.   

Le parole che usano sono spesso fredde, burocratiche, e ogni tanto sembrano scritte apposta per scoraggiarti.   

È naturale sentirsi sopraffatti.  

Non c’è mai stato qualcuno che dicesse: “Fermo, ti spiego io cos’è questa clausola e perché è importante per te.”  

Ecco il punto: non è il tuo lavoro capirle.   
O meglio, è mio compito di renderle comprensibili. 

È come quando hai un dente che fa i capricci e non capisci esattamente quale sia il problema.   
 
Il dentista ti spiega cosa sta succedendo, usa un po’ di gergo tecnico – magari parla di premolari, bruxismo, o altre cose che non hai mai sentito prima – ma poi traduce tutto in parole semplici: “Il tuo dente ha bisogno di una cura per evitare guai più grandi.”   

Tu non devi sapere tutto di odontoiatria, devi solo sapere che hai un problema e quali sono le possibili soluzioni.  

Con le assicurazioni è lo stesso.   
Sei il paziente, non il medico.   

Il tuo consulente è qui proprio per questo, per tradurre quel gergo, spiegarlo in modo semplice e aiutarti a prendere decisioni informate.   

Perché alla fine, l’unica cosa che conta è che tu capisca cosa stai firmando e perché.  

Lascia che ti racconti la storia di Mario.   

Aveva sottoscritto una polizza sulla casa perché “gliel’aveva consigliata il vicino”. 

L’ha fatta online, costava poco, molto meno di quanto gli avevano paventato banche e agenzie. Insomma, un affare.  

Un giorno gli scoppia una tubatura e si ritrova con il parquet completamente distrutto.   

Si ricorda però della polizza che aveva stipulato e si attiva subito per richiede il risarcimento, ma scopre che quel danno non era coperto.   

Sai perché? Si era affidato ad un amico senza capire cosa avesse firmato.   

Aveva dato per scontato aspetti che invece andavano approfonditi, pensava che in fondo tutte le assicurazioni fossero più o meno uguali e che tanto valeva comprare quella meno onerosa.  

Se Mario fosse venuto da me prima, sarei partito da lui e dalle sue esigenze, non dal premio della polizza.  

Gli avrei chiesto se preferisse essere coperto per qualsiasi tipo di danno o se era interessato solo a far fronte agli eventi più significativi. Se l’impianto idraulico fosse recente o meno. Se l’abitazione fosse stata costruita secondo i più moderni comfort edilizi o meno.  

In questo modo avremmo potuto scegliere insieme la copertura più adatta alla situazione e ai reali rischi a cui andava incontro.  

Avrei evitato che spendesse soldi inutili per qualcosa che non gli serviva.  

E invece Mario, pensando di spendere di meno, in realtà ha speso di più.  

Perché non c’è niente di peggio di assicurarsi per poi scoprire di non essere correttamente assicurati. 

Hai una famiglia? La priorità sarà proteggerla.   

Sei single? Magari è meglio focalizzarsi sulla tua carriera e sugli imprevisti che potrebbero bloccarti.   

Hai un’attività? Le cose cambiano ancora.  

Insomma, non esiste una soluzione universale, è proprio per questo che serve la figura del consulente.  

Quando hai accanto qualcuno che ti guida, i contratti assicurativi smettono di essere un rebus o un costo, diventano semplicemente la risposta ad un preciso bisogno.   

Non sono più soldi buttati (come quelli di Mario), sono soldi investiti.  

E tu quanti soldi rischi di perdere per non aver voluto chiedere una spiegazione in più?  

Per non esserti rivolto ad un professionista, prima di una decisione importante?  

E perché non cambiare approccio?  

Invece di dire “Non capisco nulla di queste cose“, provare a dire: “Voglio qualcuno che me le spieghi.”  

Le assicurazioni non sono un lusso o un’opzione facoltativa.   

Sono il cuscinetto che ti protegge quando la vita decide di farti lo sgambetto.   

Ma per funzionare, devono essere comprese e fatte su misura. 

Molti non fanno domande per paura di sembrare ignoranti.   

Ti assicuro che è una paura infondata.  

Il mio lavoro è rispondere alle tue domande, tutte.  Io o lo specialista del settore di cui mi avvalgo e che fa parte del mio team. 

Anche quelle che ti sembrano stupide.   

Non c’è niente di stupido nel volere chiarezza su qualcosa che riguarda i tuoi soldi e la tua sicurezza. 

La chiarezza non è un optional, è un diritto.  

E se non capisci qualcosa, non è colpa tua. È colpa mia, perché non te l’ho spiegato bene.  

Il cuore del mio lavoro non è venderti una polizza.   

È assicurarmi che tu sappia esattamente cosa stai acquistando e darti tutte le informazioni di cui hai bisogno per scegliere in modo consapevole.   

Pensala così: se stai pianificando un viaggio, vuoi sapere quale strada prendere, dove sono i pedaggi, se c’è traffico o lavori in corso.   

Non vuoi solo una mappa, vuoi una guida.  

Fissiamo un appuntamento, troveremo insieme la strada migliore per mettere in sicurezza le persone e i progetti a te più cari.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo stato assistenziale non esiste più. Te ne sei accorto, vero?

Esci a fare due passi per andare a prendere un caffè.

Per strada incontri un vecchio amico che non vedevi da un po’.

Dopo i convenevoli di rito, vi soffermate a parlare del più e del meno. Figli, lavoro, progetti. Insomma, le solite cose sulle quali finisci per andare nelle conversazioni con chi non incontri da tempo.

Quando gli chiedi dov’è diretto in vacanza, lo vedi sospirare e risponderti che per quest’anno è tutto un rebus: scopri infatti che il tuo amico ha la fortuna di avere ancora la mamma, che però è molto anziana e richiede cure continue.

Di posti nelle strutture pubbliche nemmeno l’ombra e mandarla in una casa di riposo all’altezza è costosissimo.

Gli fai i migliori auguri e prosegui dritto verso il bar.

Dove arrivi, ti siedi, e mentre aspetti di gustare il tuo caffè non puoi fare a meno di origliare i tuoi dirimpettai di tavolino mentre parlano anche loro del più e del meno.

Ad un certo punto, uno alza un po’ il tono della voce e afferma all’altro: “Con quello che mi danno per la pensione di invalidità, anche venire qui al bar con te è diventato un lusso!”

Te la sto romanzando, e sebbene la cornice in cui ho incastrato questi aneddoti sia di pura fantasia, la sostanza delle situazioni che emergono è tremendamente concreta e reale.

Ed esprime un concetto molto semplice, del quale siamo ancora poco consapevoli.

Lo stato assistenziale, in Italia, non esiste più.

Ti assicuro che non c’è alcuna forzatura in questa affermazione, per quanto forte e categorica ti possa sembrare.

Ci sono soltanto le evidenze di cui è agevole prendere atto. Parlando con le persone che ci circondano e già vivono determinate situazioni, oppure dando uno sguardo ai dati.

Siccome ce ne sono tanti e capisco non sia facile orientarsi, provo a darti una mano.

Comincio con il chiarirti di che cosa ti sto parlando, così evitiamo fraintendimenti.

Con Stato assistenziale si fa riferimento all’insieme di prestazioni pubbliche previste a favore di quelle persone che si trovano in una situazione di indigenza, di difficoltà oggettiva.

Detto con parole diverse, l’ordinamento ritiene che le persone più fragili siano meritevoli di essere tutelate e supportate attraverso un aiuto.

Tra le tante situazioni di fragilità che possono presentarsi, oggi voglio parlarti degli eventi invalidanti e delle risposte che lo Stato è chiamato a dare a chi li subisce.

Due, nella fattispecie.

La prima, di natura economica. Denaro.

La seconda, di natura non economica. Servizi sociali e socio-sanitari.

La domanda sulla quale ti invito a riflettere è molto semplice: una persona che oggi si trova in situazioni di palese e oggettiva difficoltà, a quali prestazioni può accedere?

Che cosa gli riconosce lo Stato per vivere dignitosamente? Ne sei consapevole?

Andiamo con ordine e partiamo dalle prestazioni economiche.

A questo proposito, la legge prevede un groviglio di norme in cui districarsi è tutt’altro che banale, pertanto provo a semplificare.

Quando una persona è invalida e non riesce né a lavorare né a provvedere a sé stessa, lo Stato la ritiene meritevole di beneficiare di un assegno mensile che prescinde dalla sua storia professionale. Detto diversamente: se anche quella persona non avesse versato un euro di contributi, potrebbe ugualmente accedere a questa prestazione che, si dice, è di natura assistenziale.

Ciò significa che prescinde, appunto, da quanti contributi ha effettivamente versato.

In tal caso si parla di invalidità civile.

E questa prestazione prevede, nel 2025, un riconoscimento economico pari a 336 euro al mese.

Hai letto bene: 336 euro al mese.

Non solo: per ottenere questa somma occorre pure rispettare dei vincoli reddituali. Cosa significa? Che, se hai un piccolo appartamento messo in affitto o qualche risparmio che produce una rendita potresti non incassare nemmeno questa miseria.

Ma andiamo avanti, perché il malcapitato che subisce un evento invalidante potrebbe essere una persona che, negli anni, ha lavorato e versato contributi.

Anzi, questo è verosimilmente il caso più frequente.

Ebbene, per capire qui quanto lo Stato riconosce, il calcolo è più complesso: non si tratta infatti di una somma fissa, bensì di una prestazione proporzionale alla posizione contributiva.

Dipenderà dunque da quanti contributi sono stati accantonati e dall’età della persona.

Premesso dunque che ogni situazione è unica e va valutata caso per caso, qualche numero lo possiamo comunque dare: un lavoratore di mezza età, cinquantenne, che per 25 anni ha versato contributi alla gestione commercianti ed artigiani dell’INPS e che guadagna circa 40.000 euro lordi all’anno, in caso in evento altamente invalidante si vedrebbe riconosciuta una pensione di circa il 75% più bassa rispetto all’ultimo reddito.

In pratica non può più lavorare e prende un quarto di quanto prendeva prima.

È abbastanza, per prendere atto della questione?

Fin qui una rapida ma spero altrettanto significativa sintesi delle prestazioni economiche.

Ti ho però anticipato che gli aiuti del Welfare non si fermano qui.

O meglio, non si dovrebbero fermare qui.

Perché, oltre a un riconoscimento economico, allo Stato spetterebbe anche l’erogazione di servizi, in particolare quelli socio-sanitari, di assistenza e conforto alla persona.

Sto usando il condizionale perché, come avrai già intuito, spesso e volentieri queste prestazioni non ci sono o sono del tutto parziali e insufficienti.

Anche qui, qualche numero.

In Italia ci sono circa 4 milioni di Over 65 non autosufficienti.

Al settore pubblico, in particolare ai comuni, spetterebbe l’erogazione di specifici servizi.

Almeno tre.

I servizi residenziali, quindi strutture pubbliche nelle quali vivere: case di riposo, per intenderci.

I servizi semi-residenziali, consistenti in strutture diurne dove queste persone possano ricevere assistenza almeno durante il giorno, non potendovi pernottare.

E i servizi domiciliari, la cosiddetta “ADI” (assistenza domiciliare integrata), attraverso la quale la persona non autosufficiente può fruire presso la propria dimora abituale di un servizio professionale fatto di cure mediche, infermieristiche, riabilitative e via discorrendo.

Sai quante persone possono accedere oggi in Italia a questi servizi, ai quali avrebbero diritto? Lo dice una recente indagine condotta da Bocconi.

Ai servizi domiciliari accede il 22% degli aventi diritto. Il 78% resta fuori.

Ai servizi residenziali il 7%. Il 93% resta fuori.

Ai servizi semi-residenziali, praticamente nessuno: lo 0,5%. 199 su 200 aventi diritto restano fuori.

L’articolo 32 della Costituzione garantisce cure gratuite alle persone indigenti, eppure i dati descrivono una realtà molto diversa, sconfortante, complessa.

Che richiede di essere fronteggiata già oggi con risorse private, lì dove invece ci si aspetterebbe la presenza e l’impiego di risorse pubbliche.

Voglio fare un’ultima riflessione, prima di chiudere.

Sono appena usciti i nuovi dati ISTAT relativi alla situazione demografica dell’Italia nel 2024.

Nascite ai minimi di sempre e popolazione sempre più vecchia: oggi nel nostro Paese ci sono due Over 65 per ogni Under 15.

Di fronte all’ennesima conferma del declino demografico nel quale ci siamo incamminati, mi chiedo una cosa.

Se già oggi lo Stato sociale non arriva a tante persone che ne avrebbero bisogno, cosa mai è lecito attendersi nei prossimi anni quando il rapporto tra anziani e giovani sarà di tre a uno?

In che modo è possibile immaginare che la situazione non peggiori, a livello di prestazioni assistenziali?

Sono domande retoriche, dall’esito scontato. Già scritto.

Di fronte alle quali, tuttavia, facciamo finta di non vedere.

Sono certo che non sia così per te, che questa rivoluzione la vedi e la comprendi, solo che magari fai fatica a capire da che parte prenderla, con quali soluzioni è preferibile affrontarla.

Ebbene, ti svelo una grande notizia: puoi fare molto, e puoi farlo sin da ora.

Le soluzioni esistono.

Nell’arido deserto di un Welfare in perenne difficoltà, puoi trovare la tua oasi rigenerante.

Dipende solo da te. Dalla qualità delle tue decisioni e dal tempismo con cui le prenderai.

Per questo ti scrivo: per mettere al tuo servizio le competenze che ogni giorno cerco di affinare, in un mondo che fa del cambiamento la sua costante e che non permette di affrontare questioni nuove con approcci vecchi, temi complessi con comportamenti approssimativi.

Ti va di parlarne insieme?

Come diventare finanziariamente invulnerabile

Achille, il più grande guerriero della mitologia greca, sembrava invincibile.  

Secondo il mito, per donargli questo potere la madre lo immerse appena nato nelle acque del fiume Stige tenendolo per il tallone. 

Nessuna lama, nessuna freccia poteva scalfirlo… tranne in quell’unico, periferico e apparentemente innocuo punto che non era stato bagnato dall’acqua magica.  

Un piccolo dettaglio a causa del quale è bastata una ferita al tallone per trasformare e la sua leggenda in tragedia. 

Sai perché te lo racconto?  

Lo faccio perché in tutti questi anni di esperienza come consulente finanziario e patrimoniale ho incontrato molti Achille… 

Molte persone che pensavano di essere finanziariamente invincibili e che non riuscivano a vedere i propri punti deboli, i quali difficilmente si limitavano al tallone e il più delle volte si estendevano a tante altri parti del corpo, per rimanere nella metafora. 

Ti sei mai fermato a ragionare su questo? 

Hai mai pensato che forse anche tu, senza rendertene conto, hai un “tallone d’Achille” finanziario? 

Lo so che è sempre molto difficile fare introspezione in modo del tutto onesto ed ammettere le proprie fragilità. 

Così come credo di sapere quanto sia delicato questo tema, e quanto poco ci voglia per essere investiti da un uragano di emozioni contrastanti che alla fine ti portano a dire: “Ma devo proprio pensare ai problemi anche quando non ci sono? Non bastano quelli con cui devo fare i conti ogni giorno?” 

Insomma, l’alibi perfetto per non pensare a queste cose è lì, a portata di mano. 

 

Ma la verità è che sappiamo entrambi quanto sia importante affrontare l’argomento. 

Per questo te ne parlo. Perché tu ci rifletta nel modo giusto, senza eccessi ed esasperazioni, ma al contempo senza dimenticare i fatti e le evidenze che ti sto per raccontare e che qualsiasi altro consulente ha vissuto, esattamente come me, nel tentativo di supportare i propri clienti. 

Continuo ad incontrare ogni giorno persone che scandiscono la propria vita in modo estremamente regolare: lavorano, risparmiano e si impegnano a costruire il miglior futuro possibile per sé e gli affetti più cari. 

Persone convinte di avere tutto sotto controllo. 

Grazie alla fatica e ai sacrifici di decenni molte tra loro riescono nel tempo a raggiungere obiettivi ragguardevoli ed ambiziosi. 

Tuttavia, ce ne sono altre meno fortunate. 

Persone che magari si sono comportate allo stesso modo. 

Sempre finanziariamente attente, virtuose, lungimiranti. 

Alle quali, però, a un certo punto succede qualcosa che rivela una inaspettata fragilità. 

L’imprevisto non avvisa, non sceglie e non fa sconti. 

Non solo: l’imprevisto ha un incredibile ventaglio di forme possibili. 

Può colpire, ad esempio, il patrimonio delle persone. 

E in Italia, questo patrimonio ha quasi sempre un nome: la casa. 

Non hai idea di quante volte mi sono trovato davanti persone sorprendentemente camaleontiche, relativamente al concetto di rischio. 

Erano spaventatissime ad ogni correzione di mercato, tormentate dalla volatilità nonostante avessero investito in modo estremamente diversificato e prudente, mentre poi trasformavano quella preoccupazione in apparente indifferenza quando si parlava di dedicare la stessa attenzione alla propria casa. 

Persone sofferenti per somme modeste investite correttamente e per le quali temevano le cose peggiori, e al tempo stesso praticamente insensibili di fronte ad eventi sempre più probabili che avrebbero potuto mettere in ginocchio la loro abitazione del valore di centinaia di migliaia di euro, spesso sprovvista di una qualsiasi forma di assicurazione o, nella migliore delle ipotesi, mal assicurata. 

Ti sembra strano o addirittura impossibile? Eppure, lo dicono i numeri: secondo gli ultimi dati ufficiali, appena 6 case su 100 sono protette nei confronti di eventi climatici estremi, in un Paese dove 3 abitazioni su 4 sono esposte ad un elevato rischio idro-geologico. 

Ma l’imprevisto può rivelarsi ancora peggiore, quando si abbatte sulle persone, e non “solo” sul loro patrimonio. 

Anche in questo caso, troppe volte mi è capitato di assistere a situazioni dove un evento inatteso è stato capace di vaporizzare gli sforzi di una vita. 

Perché questo è quello che accade: si fa tanta fatica a costruire, e ci vuole niente per distruggere. 

Il denaro sale con le scale, ma scende con l’ascensore. 

Un infortunio o una malattia possono costringere a stare lontano dal lavoro per molto tempo, e in un attimo le entrate che davi per scontate potrebbero ridursi drasticamente, lasciandoti senza risorse sufficienti per far fronte alle spese quotidiane. 

Non vado oltre nel farti altri esempi perché sono certo che tu abbia chiarissima la questione. 

Chi fa il mio mestiere troppe volte è concentrato unicamente su strategie, mercati e strumenti in grado di far lievitare il patrimonio delle persone che segue. 

In questo non c’è ovviamente nulla di male e, anzi, ottimizzare l’allocazione dei risparmi è e sarà sempre una parte importante di questo lavoro. 

Sono tuttavia convinto che, prima che far guadagnare più soldi alle persone, sia ancora più importante fare in modo che non rimangano mai senza. 

E sono convinto che sia così anche per te: non rimanere mai senza soldi, qualsiasi cosa accada, non può che essere la priorità di ogni persona, di ogni famiglia. 

E qui arriva la buona notizia per la quale ti scrivo: tutto questo è possibile. 

Perché è vero che siamo tutti vulnerabili, come e più di Achille e il suo tallone. 

Ma è ancor più vera un’altra cosa. 

Possiamo essere tutti finanziariamente invulnerabili. 

Che effetto ti fa questa frase? 

Quanto vale, per te, l’idea che non ci possa essere evento in grado di piegare o incrinare la tua solidità finanziaria? 

Quanto vale, per te, il pensiero di non far mai mancare alle persone e ai progetti più importanti le risorse economiche indispensabili? 

Certo, essere finanziariamente invulnerabili non significa eliminare i rischi, ma essere pronti ad affrontarli senza subire danni irreparabili. 

Il mio ruolo è esattamente questo: aiutarti a farti trovare pronto. 

In primo luogo, prendendo coscienza dei fattori di rischio ai quali sei più esposto per professione, situazione famigliare, composizione patrimoniale, stile di vita e via discorrendo. 

Subito dopo, provando a quantificare l’impatto che gli imprevisti potrebbero causare alle tue finanze. 

Infine, ponendo rimedio attraverso gli appositi strumenti disponibili sul mercato, individuando quelli più coerenti con le tue esigenze. 

Oggi hai il potere di costruire la tua invulnerabilità finanziaria. 

Non fare come Achille, non pensare di essere già a posto, non far finta che le cose possano succedere solo agli altri. 

Non commettere gli stessi errori. 

Costruisci sin da ora la tua armatura, a tutela di ciò che per te vale di più. 

Iniziare è meno complicato di quello che pensi. 

Facciamolo adesso, facciamolo insieme. 

Di fronte a un imprevisto, qual è il tuo piano?

La vita è un viaggio straordinario, pieno di sorprese e opportunità.  

Ogni giorno può essere vissuto come un capitolo da scrivere, una sfida da raccogliere, un’avventura da inseguire.  

Più nel lungo termine, ognuno di noi ha dei progetti che sogna di raggiungere e che lo motivano a dare il meglio di sé stesso. 

Allo stesso modo, siamo tutti consapevoli che in questo viaggio raramente fila tutto liscio. 

Anzi, gli imprevisti fanno parte del percorso e non si tratta di capire se si presenteranno, ma di quando lo faranno. 

A prescindere dalla loro dannosità, qualsiasi evento dannoso ha un potere enorme: quello di farci capire, dopo, quanto sarebbe stato importante limitarlo. 

Quello di farci capire, sempre dopo, quanto sarebbe stato importante avere un piano. 

La domanda sulla quale vorrei farti ragionare è esattamente questa: se ieri fosse accaduto qualcosa, quale sarebbe stato il tuo piano? 

Se si fosse presentato un problema capace di danneggiare il tuo patrimonio o la tua persona, in che modo ti saresti fatto trovare pronto? 

A questo punto ti starai chiedendo se anch’io voglio parlarti di “assicurazioni”; se anch’io sono qui ad annoiarti con un argomento già sentito mille volte. 

E ti rispondo che no, non ti scrivo per parlarti di assicurazioni. 

Non ho alcuna intenzione di entrare nel dettaglio di prodotti, per sbandierare quanto siano i migliori possibili sul mercato. 

Non voglio parlarti di polizze. Voglio parlarti di strategia. 

 

Perché, che si tratti di proteggere la tua casa, i tuoi cari, la tua salute o la tua vita, senza strategia una polizza assicurativa non risolve la questione. 

E la strategia parte da una consapevolezza indispensabile: la distinzione tra il concetto di rischio e il concetto di pericolo. 

Il rischio è associato a quasi tutte le azioni della nostra quotidianità. 

Lavorare, viaggiare, fare sport, persino stare a casa: insomma, vivere in generale comporta dei rischi che noi non possiamo mai eliminare del tutto. 

Quello che invece possiamo fare è togliere di mezzo i pericoli, ovvero le conseguenze negative dei rischi. 

Almeno dal punto di vista finanziario, questi eventi sono totalmente eliminabili. 

Come ti fa stare l’idea che qualsiasi imprevisto possa presentarsi non ci siano conseguenze economiche per te e per la tua famiglia? 

Per questo serve un piano. 

All’interno del quale, certamente, ci sono poi gli strumenti assicurativi che rappresentano il mezzo con cui raggiungere l’obiettivo. 

E allora, ecco alcuni semplici ma importantissimi step da seguire per costruire una strategia. 

La tua strategia. 

Primo: analizzare la situazione. 

Il primo passo da compiere consiste nel prendersi il tempo necessario per capire cosa ti serve. E per farlo, non è possibile prescindere da una attenta valutazione dei pericoli connessi alla tua persona, alla tua famiglia, al tuo patrimonio. 

Ogni persona ha situazioni diverse, esigenze diverse e pertanto vulnerabilità diverse. 

In che modo può essere d’aiuto un prodotto, per quanto valido sia, se prima non viene contestualizzato nella realtà di chi lo dovrebbe sottoscrivere? 

La composizione del nucleo familiare, la presenza di persone fragili o a carico, lo stile di vita, la professione svolta, i progetti futuri: sono soltanto alcuni esempi di aspetti che non possiamo permetterci di trascurare, prima di agire. 

Solo così è possibile creare una protezione su misura, evitando costi superflui e garantendo una copertura adeguata.  

Secondo: domandarsi che cosa viene prima, per te. 

Una volta analizzata la situazione, è verosimile che siano emerse più esigenze sulle quali sarebbe necessario trovare una soluzione. 

Non sempre è possibile, però, perché l’investimento necessario per proteggersi bene può essere impegnativo. 

Ecco perché, a questo punto, devi farti un’altra domanda: da dove voglio partire? 

Quali sono le situazioni potenzialmente dannose che potrebbero compromettere l’equilibrio economico e finanziario della mia famiglia?  

E quali sono dunque quelle minacce che, se neutralizzate, mi garantirebbero maggiore serenità? 

Pensa a una persona che lavora e produce un reddito dal quale dipendono coniuge e bambini piccoli. O a chi invece vive una situazione familiare più complessa, con figli nati da più relazioni. O a chi invece è solo e deve pensare a come affrontare nel migliore dei modi la vecchiaia. O a chi possiede un significativo patrimonio e deve pensare a salvaguardarlo. 

È evidente che, per ciascuna di queste situazioni, le priorità non possono essere le stesse. 

Individuarle è indispensabile, per una strategia efficace. 

Terzo: trovare la soluzione migliore. 

La cosa difficile non è trovare uno strumento assicurativo, e nemmeno trovarne uno valido. 

La cosa difficile è trovare la soluzione migliore. 

Che non significa né quella più completa o meno costosa, bensì quella più adatta a te. 

Più coerente con quello che ti serve davvero. 

Per capirci meglio possiamo immaginare un parallelismo tra il mondo assicurativo e il mondo farmaceutico. Ogni farmaco è destinato ad una precisa sintomatologia, così come ogni soluzione assicurativa è stata progettata per una precisa esigenza.  

Siccome però ognuno ha il proprio “quadro clinico”, serve un esperto che sappia individuare le giuste combinazioni, il giusto mix. 

Quarto: monitorare e aggiornare regolarmente il tuo piano di protezione.  

La vita è un film, non una fotografia: evolve continuamente. 

Le cose cambiano, seppure con modalità e tempi diversi, e lo stesso deve fare il tuo piano. 

Per quanto attento e lungimirante tu possa essere quando lo progetti, sei sempre nel “qui ed ora”. 

Da lì in avanti tutto, inevitabilmente, si trasforma. 

E nel momento in cui queste trasformazioni diventeranno concrete, potrebbero cambiare anche le soluzioni ideali per mettersi in sicurezza. 

Non pensare solo a eventi minacciosi: anche situazioni positive ed entusiasmanti — come cambiare lavoro, casa, obiettivi o desideri — richiedono al tuo piano di essere rivisto. 

Come fai con la tua auto: ogni tanto serve un tagliando, per verificare che tutto funzioni come dovrebbe. 

In sintesi: analisi, priorità, soluzioni e monitoraggio. 

Di queste fasi è fatto il tuo piano. 

In questo modo sarà più facile farsi trovare pronti di fronte agli ostacoli che compariranno lungo il sentiero, per godere pienamente dei tanti momenti di felicità che ci presenteranno.  

Di tutto questo devi preoccupartene ora. 

Nel senso che te ne devi occupare prima, non che deve essere da subito motivo di apprensione.  

Per farlo, mi piacerebbe darti una mano. 

Mi piacerebbe esserti utile per togliere di mezzo quei pericoli che sono in grado di minare la tua solidità finanziaria, e per restituirti la serenità che il tuo futuro merita di avere. 

Non aspettare oltre. 

Insieme costruiremo il tuo piano. 

E la tua invulnerabilità. 

La longevità è bellissima, se ci si fa trovare pronti.

Suona il campanello e il giovane Te quarant’enne riceve una cartolina dal futuro.

Sul retro, poche parole: “Grazie per avermi preparato a vivere così a lungo.”

Il mittente? Tu stesso, a 90 anni.

Chi la riceve oggi prova un brivido, perché quella cartolina – per quanto simbolica – racconta una verità concreta: la longevità è ormai la normalità.

Mezzo secolo fa le aspettative di vita alla nascita si fermavano a 72 anni.

Oggi, secondo l’ISTAT, un uomo di 65 anni ha mediamente davanti a sé altri 20 anni di vita. Una donna 24!

Questa estensione della vita apre prospettive entusiasmanti: più tempo per sé, per la famiglia, per le passioni.

Più tempo a disposizione, grazie alle straordinarie conquiste del progresso scientifico troppo spesso messo incredibilmente in discussione da alcuni.

Allo stesso modo, c’è anche un risvolto della medaglia a cui prestare la massima attenzione.

Perché, se la terza età si allunga, si allunga anche la lista delle spese da sostenere.

La rivoluzione demografica porta, infatti, con sé un interrogativo piuttosto pesante:
ho abbastanza denaro per vivere così a lungo?

Questa scomoda domanda richiede una riflessione seria. Non può essere affrontata con la superficialità con cui spesso, sul tema, si finisce per dire “tanto non ci arrivo” o “in qualche modo farò”.

Per quanto difficile, occorre immaginare come sarà il mittente di quella cartolina appena ricevuta.

Certo, la vita è fatta di molti eventi impronosticabili e impensabili.

Ma ce ne sono anche tanti altri assai più prevedibili.

Ti faccio subito qualche esempio.

Senza proiettarti troppo in avanti nel tempo, prova a guardarti attorno.

Come vivono gli Over 65 di oggi?

Ti sembrano condurre una quotidianità simile a quella a cui erano abituati i tuoi genitori o i tuoi nonni?

Provo a riportare qualche dato che emerge da numerose ricerche sul tema.

I “giovani anziani” odierni, appena possono godersi il meritato riposo lavorativo, hanno delle abitudini ben precise.

Secondo CENSIS, sono degli incalliti viaggiatori.

Amano mangiare bene e, di conseguenza, spendono parecchio sia per la ristorazione che per il cibo di qualità.

Sono tra i principali acquirenti di beni di lusso e dedicano molto tempo anche alla cultura, al benessere, al volontariato.

Per certi versi, dunque, se la godono.

Giustamente, visto che con l’età aumentano anche gli acciacchi, più o meno impattanti.

Infatti, l’ingresso nella terza – e poi nella quarta – età comporta spesso la necessità di affrontare o convivere con alcune patologie.

Anche in questo caso, l’approccio è cambiato.

Se ieri la sanità pubblica rappresentava di fatto l’unica strada percorribile, oggi non è più così. I tempi di attesa per le prestazioni si sono allungati e i casi di malasanità, per quanto circoscritti, non sono così sporadici nonostante l’encomiabile sforzo di medici e infermieri.

Così, molte persone cercano alternative ricorrendo direttamente alla sanità privata.

Pagando di tasca propria, almeno chi può.

Stiamo parlando di oltre 40 miliardi di euro all’anno, una cifra impressionante.

Senza considerare poi le spese di natura assistenziale legate alla non autosufficienza.

Basti un numero: in Italia ci sono circa 4 milioni di persone con più di 65 anni in questa condizione, a fronte delle quali lo Stato mette a disposizione meno di 300.000 posti nelle strutture riservate.

Il risultato? La quasi totalità si rivolge al privato, affrontando costi elevatissimi. Pensa che il costo su base annua per una RSA può arrivare fino a 40.000 euro, una spesa che andrebbe a erodere velocemente anche patrimoni consistenti.

Insomma, te la faccio breve.

Che sia per ciò che vogliamo o per ciò che dobbiamo spendere, una cosa è certa.

Servono più soldi per vivere.

L’allungamento della vita, da certezza statistica rischia di trasformarsi in grande incertezza finanziaria.

E mentre il rapporto tra anziani e giovani (il cosiddetto indice di vecchiaia) continua a salire – da 2 a 1 oggi, a 3 a 1 nei prossimi anni – emerge un’altra domanda:
se già oggi il Welfare pubblico fatica a reggere, come potrà evolvere in futuro?

E più in generale, come pensi vivranno gli Over 65 di domani?

Quel Te novantenne, lo immagini più simile ai nonni di ieri, con uno stile di vita sobrio?
O pensi vorrà poter contare su risorse adeguate per vivere bene?

Benché il mondo sia diventato certamente più frenetico ed esigente, il tema della longevità non deve generare timore.

Al contrario, deve diventare un incentivo a preparare per tempo una fase di vita che può rivelarsi straordinariamente appagante, se ci si fa trovare pronti.

Potresti pensare che per farlo servirebbe mettere da parte una quantità enorme di denaro.

Tra pensioni destinate ad abbassarsi, costi da sostenere, e prestazioni pubbliche da integrare…sembrerebbe inevitabile.

Ma non è così.

Affinché la longevità sia davvero bellissima non è affatto indispensabile avere da parte un mucchio di soldi.

“Ma come, se mi hai appena detto che tutto costerà di più!”

Hai ragione: avere denaro aiuta.

Ma aiuta ancor di più evitare di consumarlo, quando si può.

Provo a spiegarmi meglio.

Per le cose belle che vorrai fare “da grande”, avere risparmi da parte sarà fondamentale.

Per le cose meno belle che potrebbero presentarsi, sarà ancora più importante poter contare su strumenti adatti.

Accumulare di più e farlo da subito, sarà molto utile.

Proteggersi con apposite soluzioni assicurative, lo sarà ancora di più.

Anzi, non avrà prezzo.

Perché vivere più a lungo è una fortuna.
Vivere meglio, una scelta.

E allora, parliamone insieme.

Anche se sembra lontana, la costruzione della tua vecchiaia serena inizia adesso.

Pensioni: non esiste alcun “tesoretto”!

Accanto al Duomo di Napoli è custodito il Tesoro di San Gennaro.

Considerato uno dei tesori più importanti e ricchi del mondo, è composto da migliaia di oggetti votivi donati da papi, re, imperatori e cittadini nel corso di ben sette secoli.

Per quanto non esista una stima ufficiale, diversi esperti lo valutano oltre 20 miliardi di euro: l’unicità, la vastità e la qualità dei preziosi che ne fanno parte è tale da spingerne le quotazioni – per quanto approssimative – su livelli davvero astronomici.

Perché inizio parlandoti di questo tesoro?

No, non sei finito per sbaglio in una newsletter che parla di arte o di storia.

Inizio da qui per il semplice fatto che, di tesoro, si sente parlare anche quando di mezzo ci sono le pensioni.

Anzi, più che di tesoro, si parla di “tesoretto”.

Spesso, nel dibattito pubblico, vengono utilizzate alcune espressioni in modo improprio e soprattutto fuorviante, al punto da far passare un messaggio molto diverso rispetto a quello che i numeri reali descrivono.

Se anche tu hai sentito menzionare questa parola e magari l’hai interpretata in senso positivo, pensando che forse il futuro pensionistico che ti aspetta non è poi così incerto, non posso certo biasimarti.

Avrei fatto la stessa cosa, al posto tuo.

Tuttavia, devo dirti che non è come sembra.

Non c’è alcun tesoretto davanti a noi.

Non per quanto riguarda le pensioni di domani, almeno.

Per provare a spiegarti il motivo per il quale le cose stanno così, devo fare un passo indietro: in particolare, è indispensabile ti sia chiaro il meccanismo di funzionamento del sistema previdenziale pubblico.

Senza questo sforzo, infatti, il rischio di fare confusione e di essere ingannati dalle parole è molto alto.

Andiamo con ordine, allora.

Come sai, l’INPS è l’istituto che si occupa di pagare le pensioni in Italia a una platea molto ampia di beneficiari.

Semplificando al massimo, la macchina funziona in questo modo: da un lato prende le risorse dai contributi che vengono versati da chi lavora, dall’altro lato utilizza questi flussi per erogare le prestazioni agli aventi diritto.

In pratica, attraverso i contributi, ogni lavoratore finanzia la pensione degli altri.

Non la propria!!!

Questo meccanismo prende il nome di principio della ripartizione.

Significa che il sistema previdenziale impiega immediatamente le risorse raccolte, che non vengono investite e che dunque non possono aumentare di valore al passare del tempo.

Vengono piuttosto usate subito, per pagare le pensioni.

Il sistema, dunque, si basa su una promessa intergenerazionale, su un principio solidaristico: sostenere chi è in pensione oggi per essere sostenuto da chi lavorerà domani.

Chiarito il funzionamento, è piuttosto intuitivo comprendere che un sistema a ripartizione va in affanno quando sul piatto della bilancia non c’è equilibrio.

Quando le risorse rastrellate dai contributi si rivelano insufficienti per fronteggiare gli impegni pensionistici correnti.

Oggi, come si presenta questo saldo? I conti sono in equilibrio?

Al riguardo, i dati sono estremamente chiari.

Dal 1989 ad oggi non c’è mai stato un pareggio di bilancio.

La spensa pensionistica ha sempre superato le entrate contributive, producendo quello che in gergo si chiama disavanzo.

Sì, lo so, sto mettendo in fila troppi tecnicismi, ma sono certo che il messaggio ti è arrivato comunque forte e chiaro: i soldi versati da chi lavora non bastano mai.

Altro che tesoretto.

“Ma scusa, come è possibile? Ho letto sui giornali che l’INPS ha chiuso il bilancio in positivo!”

È vero, hai ragione. Se ti è capitato sottomano qualche articolo di questo genere, è esattamente quello che i media hanno scritto.

E tecnicamente l’informazione è corretta: nel 2023, ultimo anno di cui abbiamo il dato definitivo, il bilancio si è chiuso in positivo per oltre 2 miliardi di euro.

Come lo spieghiamo?

In realtà, è piuttosto semplice: per far stare in piedi i conti, vengono girati ogni anno all’INPS un sacco di soldi dalla fiscalità generale.

E cioè da tutti noi.

Pensa che, nel solo 2023, stiamo parlando di 164 miliardi di euro.

No, non è un errore di battitura: 164 miliardi che potevano andare altrove e che invece sono stati indirizzati verso l’INPS per sostenere una macchina dai costi insostenibili.

È come se, per pagare gli stipendi ai propri giocatori, il presidente di una squadra di calcio dovesse chiedere a tutti i soci di aprire regolarmente il portafoglio, perché le entrate ordinarie non bastano.

Solo che, con le pensioni, il “contratto” può durare per tantissimo tempo.

Questo succede, regolarmente, da anni.

Spero che ora ti sia ancora più chiaro perché non esiste alcun tesoretto nelle casse dello Stato per la nostra pensione futura.

E che l’unico tesoretto è quello che dobbiamo pensare a costruire da soli.

Con la costanza, la disciplina, il metodo, la consapevolezza.

A questo servono gli strumenti di previdenza complementare.

I quali si basano su un principio esattamente opposto a quello della ripartizione.

Nei fondi pensione, infatti, vale il principio della capitalizzazione.

Significa che quello che versi, non va agli altri.

Quello che versi è per te. Per la tua pensione!!!

Quello che versi viene investito e cresce nel tempo, a seconda del mercato sul quale hai deciso di posizionarti.

Quello che versi ti rimane, non rischia di essere dilapidato come gli sforzi di quello sfortunato lavoratore che, dopo aver contribuito per anni, potrebbe non veder assicurata dallo Stato alcuna prestazione alla sua famiglia in caso di premorienza.

In ogni caso, il denaro investito nei fondi pensione è di tua proprietà.

La sola distinzione di funzionamento tra la previdenza pubblica e quella privata, tra il meccanismo della ripartizione e della capitalizzazione, dovrebbe essere sufficiente a prendere una decisione lucida e consapevole.

Anche perché le differenze, da qui in avanti, non possono che accentuarsi.

Se già da tempo il saldo tra entrate e uscite dell’INPS è abbondantemente negativo, in che modo potrà andare nel prossimo futuro quando la popolazione in Italia continuerà ad invecchiare?

Come potranno migliorare i numeri se, a fronte di un numero crescente di pensionati, c’è un numero decrescente di lavoratori?

Le riforme pensionistiche – in primis il passaggio al metodo di calcolo contributivo – aiuteranno ad arginare il problema, ma la crisi demografica nella quale ci siamo infilati ci suggerisce una cosa, su tutte.

Il nostro tesoretto dobbiamo costruircelo da soli e senza fare affidamento su quello pubblico, che non esiste.

Ecco, ora sai quanto profondo sia il problema.

Ma sai anche che esistono le soluzioni, sulle quali mi piacerebbe tanto poterti aiutare.

Il Tesoro di San Gennaro è il frutto di secoli di fede, costanza e donazioni.

Il tuo, invece, può nascere da una sola decisione consapevole.

Meglio farla oggi, che aspettare domani…!

Previdenza / Pensioni


Aprire il fondo pensione non basta

È come iscriversi in palestra, allenarsi il giorno dell’iscrizione e poi sparire.

E come ben sai non esistono scorciatoie, né rimedi dell’ultimo minuto che possano compensare anni di inattività.

Non si può improvvisare una pensione dignitosa all’ultimo momento, così come non si può correre una maratona senza essersi allenati. Da qualche tempo hai fatto un passo importante: hai aperto un fondo pensione.

Un’azione quasi obbligata perché tutti dicono che “è bene mettere qualcosa da parte”.

Hai spuntato la casella, hai dato il consenso, hai versato magari un contributo simbolico o un importo più consistente per sfruttare i vantaggi fiscali.

Poi però, schiacciato dal ritmo della vita quotidiana, tra bollette da pagare, riunioni di lavoro, impegni familiari e mille altre cose, te ne sei dimenticato ed è rimasto lì, fermo come un orologio rotto che segna sempre la stessa ora.

Ti voglio rassicurare: non sei il solo!

Secondo i dati COVIP di fine 2024 ci sono quasi 3 milioni di fondi pensione attivi che non hanno visto alcun versamento dopo quello iniziale.

Se non versi, se non costruisci, se non pianifichi, quel futuro semplicemente non ci sarà.

O meglio: ci sarà, ma senza le risorse necessarie per viverlo con la tranquillità e la libertà che meriti.

Il fondo pensione ha una sola vera alleata: la costanza.

Cerchiamo allora di costruire assieme un sentiero di cose indispensabili da fare per non rendere vano quello sforzo iniziale.

Immagina di metterti al volante della tua auto e di dover affrontare un viaggio molto lungo: non basta salire a bordo, serve un piano ben preciso.

Eccolo.

  • Scegliere la destinazione

Prima di partire, devi sapere dove stai andando.

Nel nostro caso, vuol dire capire quanto realmente ti servirà per vivere serenamente quando terminerai di lavorare.

Considerando che il sistema pubblico coprirà mediamente circa il 50% dell’ultimo reddito percepito, quanto dovrai integrare per mantenere il tuo tenore di vita?

Dipende dalla tua situazione personale, professionale e anche da quanto tempo ti separa dal giorno in cui smetterai di lavorare.

Se ti restano trent’anni, potrai viaggiare in “modalità eco” versando una cifra moderata ogni mese; se te ne restano dieci, dovrai pompare benzina e mettere in conto sforzi più significativi.

Ecco perché è importante collegare le tue intenzioni a cifre precise e dare a ogni euro un significato: non si tratta solo di “mettere qualcosa da parte”, ma di creare un progetto con tappe e consumi ben definiti.

Il tuo fondo pensione ha bisogno di una rotta chiara per non disperdere i tuoi sforzi.

2) Impostare il navigatore e seguire la rotta

Perché un viaggio arrivi davvero a destinazione non basta sapere dove andare: serve costanza nel seguire il percorso perché, se inizi a deviare o a fermarti troppo spesso, rischi non solo di arrivare in ritardo, ma addirittura di non arrivare affatto.

Quando si parla del tuo fondo pensione, questo principio diventa ancora più cruciale.

Nessuno ti avviserà se dimentichi di fare un versamento, non ci saranno solleciti o promemoria. Solo un capitale finale più basso, quando ormai sarà troppo tardi per rimediare.

Ecco perché è fondamentale trasformare il versamento in un’abitudine: immagina di impostare un bonifico ricorrente ogni primo del mese, quasi come pagare l’affitto o l’assicurazione dell’auto.

Quel piccolo impegno ripetuto costantemente sfrutterà il potere del tempo e della capitalizzazione composta per far crescere i tuoi risparmi.

3) Scegli la marcia giusta

Con il motore acceso e il navigatore impostato, arriva il momento di “scegliere la marcia giusta”, la velocità di crociera, selezionando l’asset allocation più adatta al tuo profilo e al tuo orizzonte temporale.

Se il tuo viaggio verso la pensione è lungo – diciamo 30 o 40 anni – puoi permetterti di viaggiare in autostrada, ad una marcia alta e sfruttando al massimo il motore: in questo caso, la scelta di un comparto azionario ben diversificato può rappresentare il propulsore più efficiente.

I dati COVIP degli ultimi dieci anni parlano chiaro: i comparti più difensivi (garantiti e obbligazionari) hanno generato rendimenti prossimi allo zero, mentre le linee azionarie si sono mosse intorno al 4,5% l’anno.

Su un tragitto lungo, questo divario di rendimento diventa sostanziale e può fare la differenza tra arrivare alla meta con il pieno o con il serbatoio in riserva.

Certo, l’investimento azionario può avere qualche sussulto durante il percorso, ma su lunghi orizzonti temporali questa motorizzazione rimane vincente, la migliore possibile.

Se invece ti trovi nella parte finale del viaggio, allora il margine di manovra si riduce e potresti aver bisogno di maggiore prudenza, dosando con attenzione rischio e rendimento.

In questo caso, potresti alternare le marce, combinando strumenti più stabili a componenti azionarie, con l’obiettivo di mantenere una buona velocità senza sbandare.

4) Controlla regolarmente il piano

Nessuna persona saggia percorrerebbe un lungo viaggio senza verificare che tutto sia in perfette condizioni, perché anche il motore più affidabile, se trascurato, può andare incontro a guasti.

Allo stesso modo, anche il tuo fondo pensione ha bisogno di manutenzione regolare per ricalibrare l’asset allocation alla luce dei cambiamenti di mercato e della tua vita, mantenendo il piano in carreggiata e aggiustando la rotta quando necessario.

In questo percorso, io sarò il tuo copilota.

Insieme definiremo gli obiettivi, costruiremo un piano di versamenti sostenibile, individueremo la strategia di investimento più adatta e faremo i check-up necessari per accompagnarti, passo dopo passo, fino alla meta.

Non lasciare nulla al caso in un viaggio che dura decenni.

Aprire un fondo pensione è un gesto importante, ma lasciarlo inattivo equivale a non averlo mai aperto.

Se vuoi raccogliere i frutti di un piano libero da preoccupazioni, devi nutrirlo con perseveranza a partire da decisioni consapevoli e azioni regolari.

Perché il tempo lavora a favore di chi sa sfruttarlo, mentre chi lo spreca si ritrova solo con buone intenzioni.

E tu? Il tuo fondo pensione è un progetto che cresce ogni mese o un buon proposito disper­so tra mille impegni?

Se la risposta ti spinge a fare di più, allora è il momento di agire.

Inizia oggi a coltivare il tuo futuro: contattami!

Che vita vorresti, quando smetterai di lavorare?

Immagina di svegliarti ogni mattina senza l’urgenza di correre al lavoro.

La tua giornata inizia con calma, magari con una passeggiata rigenerante e una colazione rilassante.

Nessuna scadenza, solo spazio per i propri affetti e per le proprie passioni.

Nessuna routine, al contrario: sei libero di organizzare le tue settimane come meglio credi.

Puoi prenderti qualche giorno per fare una gita fuori porta quando non ci sono traffico e alberghi pieni, mentre puoi goderti la tua casa e i tuoi amici durante gli esodi dei vacanzieri.

Bello, vero?

Questo è quello che accade quando si va in pensione.

Si gode il lusso di gestire il proprio tempo come si desidera.

Ci si può finalmente dedicare a hobby e interessi trascurati lungo tutta la vita professionale.

Insomma, con la pensione inizia la stagione dove ci si può occupare di sé stessi.

A una condizione, però.

Essersi preparati con anticipo.

Perché, se ci pensi un attimo, la pensione non è altro che il periodo dove si raccolgono i risultati di una vita di lavoro.

Anni di lavoro nei quali si è portati a vivere molto il presente, ma che spesso ci vedono latitanti nel gettare le basi per un futuro prospero e sereno.

E tu, qual è il futuro che desideri? Quando andrai in pensione, che vita vorresti?

Mentre attraversi la frenesia quotidiana in mezzo a riunioni, trasferte e scadenze, chissà quante volte ti sarai fatto queste domande.

Immaginarsi tra un po’ è un esercizio che tutti facciamo.

Sognare il relax ed il tempo speso a nostro insindacabile giudizio è bellissimo, ma non basta.

Alle intenzioni occorre far seguire le azioni.

Se ti sei già configurato un certo tipo di vita, allora è indispensabile chiedersi in modo molto onesto una cosa.

Sto facendo tutto quello che è possibile per garantirmi la vita che sto sognando?

Potresti aver la sensazione che, più di tanto, tu non possa fare.

In fin dei conti lavori già come un pazzo, cercando di non far mancare niente alla tua famiglia ma al tempo stesso portando avanti abitudini finanziarie sane, senza fare mai il passo più lungo della gamba.

In che altro modo dovresti intervenire? Sarebbe naturale domandarselo.

Mi permetto di suggerirti solamente due azioni, semplici ma importantissime.

Grazie alle quali garantire prosperità e solidità al tuo domani.

La prima cosa da fare è quella di togliere di mezzo i rischi.

O meglio, togliere di mezzo le conseguenze degli eventi dannosi che possono riguardarci.

Questo argomento è troppo importante per essere archiviato in poche righe e senza la dovuta profondità, pertanto te ne parlerò in modo più puntuale in un’altra occasione.

Oggi voglio invece soffermarmi maggiormente sulla seconda azione che puoi attivare per costruire la vita che vorresti.

Orientare da subito parte del tuo risparmio al futuro pensionistico.

In parole ancora più semplici, significa accantonare una quota del tuo reddito attuale, investendo e lasciando che i mercati finanziari facciano il resto.

È indispensabile attivare questa abitudine il prima possibile, per trovarsi al momento opportuno quella somma di denaro di cui avrai certamente bisogno.

Quasi tutte le attività che puoi immaginare e desiderare, infatti, richiedono denaro.

Viaggiare e girare il mondo costa.

Mangiare bene costa.

Dedicarsi all’arte e alla cultura costa.

Comprarsi qualche oggetto esclusivo costa.

Rendere la tua casa più moderna e confortevole costa.

Divertirsi costa.

Anche fare sport, magari con l’assistenza di un trainer professionista, costa.

Tutto costa, e lo sai perfettamente. Perché già oggi, in qualsiasi contesto si svolga la tua quotidianità, ne hai continue dimostrazioni.

A meno che tu non voglia davvero passare per quel pensionato che si ferma con le mani dietro la schiena per osservare lo stato di avanzamento dei cantieri, spendere quando si è in pensione è la normalità.

Se non altro per il fatto che, avendo più tempo libero, è del tutto naturale che il portafoglio si apra con maggiore frequenza.

Ecco perché occorre sognare “concretamente”.

Il che vuol dire trasformare i propri desideri e aspirazioni in obiettivi realizzabili tramite piani d’azione. In altre parole, non si tratta solo di immaginare o fantasticare, ma di adottare misure pratiche per raggiungere ciò che si desidera.

L’obiettivo, la meta, sarà raggiungibile nella misura in cui te lo sarai meritato, cioè nella misura in cui avrai organizzato i tuoi risparmi per poterli utilizzare quando avrai il tempo di farlo.

Ricorda…

Le restrizioni economiche di domani saranno proporzionali alla superficialità con cui agisci oggi.

Per questo ti ribadisco l’importanza di risparmiare in modo funzionale ed efficiente.

Funzionale, e dunque propedeutico all’obiettivo di costruire la migliore “Silver Age” possibile.

Efficiente, grazie al posizionamento sui mercati che nel tempo sanno premiare di più.

Spesso i consulenti finanziari utilizzano un’espressione che sembra fumosa e noiosa: pianificare.

Ma in realtà, pianificare significa fare con disciplina e metodo cose semplici.

Pianificare significa rinunciare a qualcosa oggi, per rinunciare a molto meno domani.

Pensa ad una somma che puoi mettere da parte ogni mese senza che ciò determini rinunce che non sei disposto a fare.

Solo per farti un esempio: sai qual è il valore di 500 euro, investiti sistematicamente per 20 anni?

500 euro al mese fanno 6.000 euro all’anno e 120.000 euro in 20 anni di risparmio.

Ma ipotizzando un rendimento del 5% all’anno (nettamente inferiore a quello che mediamente sono riusciti ad ottenere i mercati azionari globali), fanno quasi 200.000 euro di controvalore finale.

120.000 euro ce li metti tu, altri 80.000 euro ce li mette il mercato.

Quante cose in più potresti fare, con questo denaro?

È solo un esempio, ma spero renda l’idea di quanto un sacrificio modesto oggi venga molto ben ripagato domani.

E tieni presente che, per semplificare, qui non mi sono soffermato sui vantaggi fiscali che gli strumenti previdenziali possono generare per chi li sottoscrive.

Ho cercato di trasmetterti il solo valore dell’abitudine ripetuta nel tempo.

Per la vita in pensione, dunque, accumulare risorse in modo efficiente ti sarà utilissimo.

Lo stai già facendo, o ci sono margini di miglioramento?

Il tempo e il denaro sono due risorse scarse ma anche due grandi alleati, se impari a metterli dalla tua parte.

Oggi hai l’occasione di farlo, con scelte semplici e intelligenti.

Se vuoi capire come rendere concreto il futuro che desideri, parliamone insieme.

I fondi pensione e le due caratteristiche che miglioreranno la tua vita (se le sfrutti)

Nel 2025 i fondi pensione sono diventati maggiorenni. 

Sono passati ben 18 anni da quando entrò in vigore quella riforma che, nel settore, fu accolta con rullo di tamburi e squilli di trombe tant’erano alte le aspettative. 

La convinzione era che ci potesse essere davvero una svolta nell’adesione di lavoratrici e lavoratori a queste forme di risparmio, ideate e realizzate appositamente per integrare quella pensione che già allora si sapeva sarebbe diventata un problema in futuro. 

E invece, non ci fu nessuna marcia trionfale. 

Non ci fu e non c’è tuttora. 

Molte indagini rivelano oggi che la questione pensionistica è avvertita dalla netta maggioranza delle persone, che dicono di essere consapevoli del fatto che gli assegni di cui beneficeranno in futuro saranno molto più poveri di quelli riconosciuti ai loro genitori e nonni.  

Secondo una ricerca condotta nel 2024 da una nota casa di investimento, 9 intervistati su 10 considerano il reddito pensionistico futuro un problema. 

Le persone sono spaventate dalla pensione che (non) prenderanno. 

Eppure, a fine 2024, sono meno di 10 milioni gli aderenti a forme di previdenza complementare. E se consideriamo il fatto che molti di questi hanno una posizione in essere che non è alimentata da nuovi versamenti, la platea di pubblico “pagante” e realmente proattivo si restringe di parecchio. 

 

In altri termini: il problema è percepito, le soluzioni no. 

Come mai? 

Semplificando e riassumendo, la stessa ricerca che ho menzionato sopra dice che il principale ostacolo è sostanzialmente uno: gli italiani non conoscono i fondi pensione. 

Non sanno bene cosa siano. 

Non hanno chiaro il loro funzionamento, ma soprattutto non hanno chiari i vantaggi che dovrebbero spingerli a sottoscriverli. 

Insomma, perché aderire a un fondo pensione che non so bene cosa sia quando posso comprarmi un appartamento da affittare e da cui ottenere una rendita integrativa? 

O banalmente, perché non preferire anche semplici investimenti finanziari come, ad esempio, i cari e vecchi BTP, piuttosto che complicarmi la vita in strumenti di cui ignoro le caratteristiche? 

Sembrano essere questi i dubbi che attanagliano i tanti concittadini che si tengono ancora oggi alla larga da quelle soluzioni che, per antonomasia, dovrebbero essere scelte in logica previdenziale. 

Se anche a te queste obiezioni sembrano sensate, se le perplessità che ho appena descritto sono anche le tue, allora non ti resta che leggere con attenzione quello che sto per dirti. 

Comincio con una piccola premessa, forse scontata ma assolutamente doverosa: anche i fondi pensione, come qualsiasi altro possibile investimento, non sono perfetti. Devono essere valutati e scelti con attenzione, perché uno non vale l’altro. 

Detto questo, potrei elencarti molti motivi per cui non dovresti esitare un istante in più ad averne uno, oppure – se già lo possiedi – ad alimentarlo in modo più convinto e sereno. 

Potrei davvero soffermarmi su molti aspetti.  

Ma ne scelgo soltanto due. 

Due aspetti che, se compresi, non possono che rappresentare un incentivo enorme ad andare in questa direzione.  

Sei pronto? E allora forza, partiamo. 

Il primo punto di attenzione riguarda un tema che avrai sentito più o meno distrattamente chissà quante volte, ma che forse nessuno ti ha mai spiegato bene: la fiscalità agevolata dei fondi pensione. 

Vediamo se riesco nell’arduo compito di descriverti in modo al tempo stesso semplice ed esauriente come funziona. 

Se ci pensi un attimo, il denaro che dedichi al fondo pensione attraversa tre fasi distinte: viene prima versato, poi rimane investito e infine viene utilizzato. 

Ebbene, ho una cosa importante da dirti. 

In ciascuna di queste fasi ci sono dei vantaggi fiscali che ti aspettano. 

Anzitutto, l’importo che versi è interamente deducibile fino a 5.164 euro l’anno (sì, corrispondono a dieci milioni di lire, il legislatore è ancora un po’ nostalgico nei confronti del vecchio conio).  

Questo significa, semplificando, che, se hai un reddito di 40.000 euro lordi e versi 5.000 euro al tuo fondo pensione pagherai imposte su 35.000 euro. E visto che la percentuale IRPEF su questa fascia di reddito è del 35%, è come trovarsi in tasca 5.000 x 35% = 1.750 euro in più. 

Uno stipendio in più, una sorta di quattordicesima. Ogni anno. Non male, vero? 

Una volta nel fondo, il denaro lavora per te. È investito nei mercati finanziari, dove il rendimento che produce viene chiaramente tassato, ma comunque meno di quanto accade negli investimenti tradizionali: il 20%, piuttosto che il 26%.  

E se ti sembra tanto rispetto al 12,5% che viene applicato sui profitti derivanti da BTP e altri titoli di stato, sappi che anche nei fondi pensione funziona allo stesso modo, se il denaro è investito in questi strumenti. Quindi, per farla semplice, stessa aliquota fiscale sui titoli di stato e aliquota più bassa su tutto il resto. 

Infine, quando un giorno chiederai di avere indietro il tuo risparmio previdenziale perché finalmente sei andato in pensione, anche in questo caso la tassazione sarà favorevole. 

Il gruzzolo finale, infatti, viene tassato al 15%. Tuttavia, se nel fondo pensione ci sei rimasto a lungo (oltre 15 anni), l’aliquota scende fino ad un minimo del 9%. 

Se sei un lavoratore dipendente, fai un rapido confronto tra questa fiscalità e quella applicata al tuo TFR custodito in azienda: in quest’ultimo caso lo Stato ti chiede un dazio molto più salato, che in molte occasioni può superare il 30%. 

Ricapitolando: quando versi hai credito fiscale che finisce dritto sul tuo conto corrente, sotto forma di rimborso nella dichiarazione dei redditi. Quando investi, il rendimento che il fondo genera subisce una tassazione mediamente più bassa di quella applicata negli investimenti tradizionali. E in sede di prestazione finale, il pedaggio richiesto è nettamente inferiore rispetto a quello applicato in genere alle più classiche forme di liquidazione pensionistica (TFR). 

Ti sembra ora più chiaro, il profilo fiscale dei fondi pensione? 

E soprattutto, lo trovi sufficientemente attraente? 

Dovrebbe esserlo, ma se così non fosse allora lascia che passi al secondo aspetto che sarà in grado di migliorare il tuo benessere previdenziale. 

Ancor più del primo. Già, perché pagare meno tasse piace a tutti, ma c’è qualcosa che fa i tuoi interessi più degli euro che non devi versare al Fisco. 

Sto parlando di una caratteristica tipica dei fondi pensione: il vincolo. 

No, non sono impazzito (non ancora, almeno). 

Lo so che questa parola ha un sapore tutt’altro che gradevole, che il non poter disporre liberamente dei propri risparmi lo vivi come una costrizione e una mancanza di libertà su quelli che sono i tuoi soldi. Su cui devi essere soltanto tu ad avere l’inalienabile diritto di farci quello che ti pare. 

Eppure, ti garantisco che il vincolo sui fondi pensione non è una stortura, non è un limite, non è un difetto. 

È una benedizione. 

In realtà non sono io a garantirtelo, conterebbe molto poco. Te lo garantiscono i fatti e le tante evidenze che gli studi dimostrano. 

Ti faccio una domanda: se il denaro investito nei fondi pensione non fosse in buona parte vincolato alla data del tuo pensionamento, quanto più facile sarebbe utilizzarlo prima? 

Sii sincero e onesto con te stesso. Quanti motivi si potrebbero trovare, lungo tutta la vita professionale, che porterebbero ad utilizzare quel denaro (e il rendimento da esso generato) per altre esigenze? Casa, vacanze, figli, vizi, qualsiasi cosa: c’è sempre una buona ragione per spendere. 

Invece, il fatto che quel risparmio esca dalle tue disponibilità e sia dedicato alla tua previdenza è determinante. Il fatto che quel risparmio venga infilato in un barattolo e che gli si assegni un nome ben preciso (PENSIONE, appunto) è condizione indispensabile per poterselo trovare, quando ce ne sarà davvero bisogno. 

Quindi no, quel vincolo (che in realtà non è poi così rigido, visto che per determinati motivi hai la possibilità di intaccare il capitale) non è un punto di debolezza, bensì un punto di forza. 

“E se poi mi servono?” non è una buona giustificazione: quei soldi non ti devono servire adesso, perché ti serviranno dopo. 

Per ciò che ti serve adesso o che ti può servire strada facendo, e per gli imprevisti che si possono sempre presentare lungo la strada, esistono altre soluzioni fatte apposta. Che evitano di distrarre il denaro introdotto nei fondi pensione facendogli fare dell’altro. 

Vantaggi fiscali da un lato, vincolo temporale per soddisfare l’esigenza previdenziale dall’altro. 

Questi sono due aspetti unici dei fondi pensione, che non trovi in altri strumenti, e che potranno davvero migliorare la tua vita.  

Ma li devi conoscere e li devi sfruttare. 

Io sono al tuo fianco per aiutarti a farlo. 

Se hai qualche dubbio o qualche legittima perplessità su un tema così complesso e articolato conta su di me. 

Sarò felice di mettermi a disposizione per accompagnarti a compiere quel passo in avanti che, a 18 anni di distanza, ancora troppi italiani non riescono a fare. 

Welfare: un sistema in cui confidiamo…troppo?

Welfare: un sistema in cui confidiamo…troppo?

Oggi voglio parlarti di un tema delicato.

Un tema sul quale tanti di noi non vogliono piegarsi a quello che la realtà racconta e preferiscono pensare che tutto sia come prima.

In Italia, infatti, siamo cresciuti con una fiducia quasi cieca nel welfare: ci siamo sempre abituati all’idea che il sistema sanitario pubblico ci avrebbe curato, che la pensione ci avrebbe garantito una vecchiaia serena e che di fronte ad un grave imprevisto lo Stato ci avrebbe protetto.

Non ci siamo mai dovuti preoccupare di queste situazioni.

Anzi, le abbiamo interpretate come la dimostrazione di una presenza pubblica costante, premurosa, confortevole.

Oggi, però, questo patto mostra segni di cedimento.

La verità è che il nostro welfare – sanità pubblica, pensioni e assistenza sociale – è nato in un contesto demografico più stabile, con una popolazione più giovane e in condizioni di maggiore sostenibilità.

Ma ora le cose sono cambiate e facciamo fatica a guardare in faccia la realtà.

Liste d’attesa infinite, ospedali sovraccarichi e medici sottoposti a pressioni estenuanti: ecco un esempio del prezzo che paghiamo per un sistema in difficoltà.

L’Italia investe nella sanità pubblica una percentuale del PIL inferiore rispetto a molti altri paesi europei, solo il 6,2%, un livello che dopo l’emergenza pandemica ha continuato inesorabilmente a diminuire.

Una cifra ormai insufficiente per le crescenti esigenze sanitarie di una popolazione sempre più longeva e con bisogni sempre più complessi.

Quanti di noi hanno vissuto in prima persona la fatica di accedere rapidamente alle cure mediche?

 

Le storie di chi resta intrappolato tra attese infinite anche a causa di risorse sempre più risicate sono ormai all’ordine del giorno.

Chiamare per una visita urgente e sentirsi dire che la prima disponibilità è tutt’altro che immediata.

Prenotare un esame che dovresti fare domani e trovare posto dopo sei mesi.

Fissare un intervento chirurgico e sapere che potrebbe essere evaso non prima di un paio d’anni.

Sempre che ci si possa permettere di aspettare, e non ci si trovi costretti ad accedere a cure private che spesso presentano costi molto alti, talvolta proibitivi.

In alcuni casi, chi ha un lavoro dipendente può sopperire alle mancanze del servizio pubblico attraverso il welfare aziendale, che però spesso ha coperture parziali e limitate.

Chi invece fa un lavoro autonomo è spesso tagliato fuori da qualsiasi misura assistenziale. Di fronte a questa situazione, credo sia fondamentale farsi una domanda:

Se in futuro io o uno dei miei cari dovessimo aver

bisogno di cure urgenti, riuscirei a sostenere i costi privati della salute?

Inoltre, la longevità crescente è un ulteriore fattore di crisi: vivere fino a 90 o 100 anni è sempre più comune.

E più si vive, più si consuma, più risorse occorre avere da parte.

Il      rischio,      è      che      i       nostri       risparmi      possano         non           bastare.

 

Se ci pensi, l’allungamento delle aspettative di vita apre la strada a uno di questi due scenari.

Il primo è quello che auspichiamo tutti: una vecchiaia in buona salute, nella quale siamo autonomi e non dipendiamo da nessuno. Insomma, una terza e quarta età in cui ce la caviamo da soli.

Il secondo vede invece qualche acciacco in più o il sopraggiungere di patologie che possono richiedere cure e assistenza costanti.

Tutti bisogni che, in assenza di risposte pubbliche adeguate, vanno sostenuti in prima persona. Tutti bisogni che costano parecchio: dai 1.500 ai 2.000 euro circa al mese per una badante, per non parlare dell’accesso in una RSA che può arrivare a costare ben oltre i 3.000 euro al mese.

Dei due scenari, quale ti sembra più comune e verosimile?

Lo so: vorresti dire il primo, ma sai che la risposta giusta è il secondo.

E sai anche un’altra cosa: con 1.300 euro di pensione media, quelle spese non possono essere sostenute.

Se pensi questo, non potrai che concordare con la seguente affermazione: il welfare pubblico, che resta una risorsa preziosa, non può più essere l’unico pilastro su cui fare affidamento.

Per questo iniziare a pianificare è indispensabile.

Ma cosa vuol dire pianificare?

No, non è riempire tabelle infinite o fare conti su conti. Non è una cosa complicatissima, che non sai neanche da che parte iniziare.

Pianificare significa identificare i rischi a cui potresti essere esposto, capire quanto è probabile che si verifichino e stimare il potenziale danno che potrebbero causarti.

E poi trovare il modo per coprire quel “buco”, che si chiama gap di protezione: la differenza tra ciò di cui avresti bisogno per affrontare al meglio una situazione critica e ciò che il welfare garantisce.

Ma da dove iniziare? Quale soluzione scegliere?

Ogni persona è unica e non c’è una soluzione valida per tutti.

Ciò che funziona per Daniele, 48 anni e padre di un figlio, non sarà adatto ad Anna, 30 anni e single, o a Maria, 64 anni e vicina alla pensione.

In questo il consulente finanziario può aiutarti a fare chiarezza e trovare lo strumento più adatto per farti trovare pronto di fronte a determinate situazioni, quando si presenteranno.

Ad esempio, sei un lavoratore dipendente senza adeguate tutele contrattuali dal punto di vista sanitario? O un autonomo?

In tal caso, potrebbe esserti più utile un’assicurazione sanitaria integrativa, in modo da garantirti un accesso rapido a cure, visite specialistiche e interventi in caso di bisogno.

Oppure, sei consapevole che – per età e professione – andrai incontro a una pensione pubblica del tutto insufficiente?

Ecco allora che un piano pensionistico complementare potrebbe diventare un alleato fondamentale in modo da accumulare risparmi gradualmente durante la tua vita lavorativa e non farsi trovare impreparati.

Ancora, hai vissuto in famiglia il disagio causato dalla non autosufficienza di una persona cara? Hai toccato con mano l’inadeguatezza dell’aiuto pubblico e ti sei detto che non vorresti mai trovarti in quella situazione?

In tal caso potresti trovare risposte in appositi strumenti assicurativi che, all’occorrenza, mettono a disposizione proprio quella somma che consente di far fronte ai sempre più esosi costi assistenziali delle strutture private.

Magari nessuno ti ha mai detto che questi strumenti esistono, e che prima li sottoscrivi meno ti costano!

Che si tratti di proteggere il tuo reddito, la tua persona, la tua pensione, o qualsiasi altra cosa importante è indispensabile che il tuo consulente finanziario ti illustri quali sono le soluzioni percorribili.

Solo così puoi prendere decisioni consapevoli. Ecco, questo significa pianificare.

Pianificare è la possibilità di affrontare il futuro con tranquillità, sapendo di avere le risorse per superare gli imprevisti.

È costruire una protezione su misura, che ti permetta di gestire i rischi con maggiore sicurezza.

È prendere in mano il tuo futuro, prima che siano le circostanze a prendere per mano te.

Il futuro arriverà comunque.

Ma con un consulente al tuo fianco, sarà più semplice affrontarlo con serenità.

E tu, sei pronto a costruire la tua sicurezza?

Contattami, sono qui per aiutarti a farlo nel migliore dei modi.

Daniele Barro



Le opportunità nascoste del TFR

L’opportunità nascosta,

di cui nessuno ti ha mai parlato, su come sfruttare il tuo TFR per aumentare la tua pensione

“I miei colleghi e i miei amici hanno lasciato il TFR in azienda. I miei genitori hanno fatto lo stesso.

Perché io dovrei fare diversamente?”

Probabilmente, quando pensi alla pensione, senti anche tu una voce dentro di te mentre ti dice che quello che prenderai non basterà per goderti il meritato riposo, viaggiando, dedicandoti ai tuoi hobby e realizzando i tuoi progetti nel cassetto.

Eppure, esistono diverse soluzioni che possono aiutarti a far sparire quella sensazione di frustrazione e a farti lasciare il lavoro con una pensione soddisfacente.

Una di queste azioni è la gestione del TFR, ovvero il gruzzoletto che il tuo datore di lavoro mette da parte per te ogni anno e che riceverai alla fine della tua carriera.

In Italia, il 75% dei lavoratori dipendenti preferisce lasciare che sia l’azienda ad occuparsi del TFR perché sembra la strategia più confortevole, oltre che essere la più semplice.

Quindi, se pensi anche tu che lasciare il TFR in azienda sia la scelta giusta è perché questa abitudine si è radicata nella nostra società ed è stata trasmessa di generazione in generazione.

Ma se tutti prendono la stessa decisione, non significa che sia la scelta migliore.

Questa abitudine, infatti, nasconde delle trappole che solo gli addetti ai lavori possono conoscere.

Oggi scoprirai…

Quali sono queste trappole e con quali strategie potrai evitarle.

Come afferrare al volo l’opportunità di sfruttare il tuo TFR per aumentare la tua pensione e goderti il meritato periodo nel migliore dei modi.

La prima trappola da evitare: le tasse

Quando le persone decidono di tenere il TFR in azienda si dimenticano di un fattore importante: le imposte da pagare.

La fiscalità può trasformare il tuo sogno in un incubo.

Devi sapere che il TFR, acronimo per Trattamento di Fine Rapporto, è un accantonamento annuale pari al 6,91% del tuo reddito lordo, valido per tutti i lavoratori dipendenti.

Quindi, se hai un reddito di 40.000 mila euro, il tuo TFR di quest’anno sarà di 2.764 euro.

Se lasci questa somma in azienda, è il Codice Civile a stabilire le regole del gioco.

Se ad esempio ti stai domandando quanto rende il tuo TFR lasciato presso il datore di lavoro, devi sapere che la legge prevede un interesse minimo annuo dell’1,5%, al quale si aggiunge una parte variabile che dipende dall’inflazione.

Quindi, in sostanza, tanto più i prezzi aumentano tanto più ottieni in termini di rendimento.

Ti sembra una buona cosa? Ti suggerisco di leggere fino in fondo, per farti un’idea davvero precisa.

Torniamo al tuo TFR in azienda: ricorda, i soldi accantonati sono lordi.

Alla fine, infatti, la tua liquidazione subirà una tassazione: sui rendimenti (pari al 17%), ma soprattutto sull’accantonamento.

L’agenzia delle entrate è come un controllore che ti fa salire sul treno della pensione solo se gli dai una percentuale della tua liquidazione.

Questa percentuale non è semplicissima da calcolare, ma per semplificare posso dirti che in media si aggira intorno al 30%.

Più alto è il tuo reddito, maggiore è il pedaggio da riconoscere allo Stato.

Lo so, è una percentuale estremamente alta, che in molti casi ti porta via un terzo o anche più di quello che ti è dovuto: è questa la tassa che divorerà parte della tua pensione.

Per fortuna, esiste un modo per evitare un fardello fiscale così pesante, e tra poco te lo spiego.

Ma prima voglio mostrarti la seconda trappola che ti aspetta lasciando il TFR in azienda…

La seconda trappola: rimani tanto (troppo) vincolato

Quando decidi di lasciare il TFR in azienda, stai anche rinunciando a parte della tua libertà. Ad esempio…

Cosa succede se volessi o dovessi usufruire del tuo accantonamento prima di andare in pensione?

Lasciando il tuo TFR in azienda, potrai chiederne un anticipo solo una volta e solo per spese mediche straordinarie, congedi parentali o acquisto e ristrutturazione di una casa.

Ma attento!

Il datore di lavoro non è tenuto a darti questo anticipo, soprattutto se ha già accontentato altri tuoi colleghi, raggiungendo il limite di obbligatorietà pari al 4% del numero totale dei dipendenti.

Non solo: in un’azienda con meno di 25 dipendenti non hai la certezza di poter avere questo anticipo.

Lasciare il TFR in azienda, quindi, è un rischio che t’impedisce di poter scegliere cosa fare con i tuoi soldi per affrontare gli ostacoli della vita e per realizzare i tuoi progetti futuri.

Prima di mostrarti uno strumento più flessibile che ti darà la possibilità di ottenere una pensione migliore, ecco la terza trappola…

La terza trappola: non sfruttare il fattore “tempo” per far crescere il tuo TFR

Potresti sfruttare la leva finanziaria del tempo per far crescere il tuo TFR così che quando andrai in pensione avrai a disposizione più soldi per goderti il tempo libero senza preoccupazioni.

Purtroppo, il TFR lasciato in azienda è come una pianta posizionata nell’angolo buio di una stanza: non cresce, se non lentamente e con bassi profitti.

Come hai letto qualche riga fa, il tuo TFR ogni anno matura degli interessi e viene aumentato a seconda del tasso d’inflazione.

Più è alta l’inflazione, più il tuo TFR aumenterà. Ottima notizia, vero?

In realtà, come ti dicevo prima, lo è solo in parte…

C’è un modo per far salire questo TFR ancora di più, battendo sempre l’inflazione…

Questo strumento non solo farà aumentare il tuo TFR anno dopo anno, ma eviterà di penalizzarti fiscalmente e ti darà maggiore flessibilità nell’utilizzo delle risorse accantonate.

Sto parlando dello strumento che ancora pochi conoscono, ma che può migliorare il tuo futuro da pensionato e darti la sicurezza che oggi non hai: il fondo pensione.

Per il tuo TFR, puoi scegliere questa destinazione alternativa rispetto a quella rappresentata dal tuo datore di lavoro.

Ma perché i fondi pensione rappresentano la soluzione migliore?

Semplice: perché ti consentono di evitare gran parte delle trappole che ti ho finora descritto.

Prima trappola, le tasse.

Dicevo che, in media, sul gruzzolo lasciato in azienda dovrai riconoscere allo Stato il 30% se non più di imposte.

Lo sapevi che, nel fondo pensione, quello stesso importo subisce una tassazione almeno dimezzata?

No, non hai letto male: almeno dimezzata.

Nella peggiore delle ipotesi, infatti, l’aliquota applicata al tuo TFR nel fondo pensione è pari al 15%. Ma se ci rimani per molti anni, questa aliquota si abbassa fino al 9%.

Pensaci bene: se tu, in tanti anni di lavoro, avessi accantonato 100.000 euro di TFR, preferiresti pagare 30.000 euro o 9.000 euro di tasse?

È una domanda retorica, è ovvio che più soldi ti rimangono in tasca e meglio è.

Eppure, lasciando il denaro in azienda, la maggior parte delle persone fa esattamente il contrario.

Seconda trappola, i vincoli.

Lasciando il TFR in azienda, puoi prenderne una parte solo in determinate condizioni e solo in determinate quantità.

Chiariamolo subito… nei fondi pensione non hai la libertà di svuotare il tuo salvadanaio in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, ed è giusto che sia così: quei soldi ti servono, appunto, per la tua pensione!

Tuttavia, rispetto a quanto avviene altrove, nei fondi pensione hai la possibilità di effettuare dei prelievi più volte e a condizioni più flessibili. Ma soprattutto, quando ne sussistono le condizioni, hai la certezza di poter richiedere i tuoi soldi, cosa che invece non sempre avviene in azienda, specie se il tuo datore di lavoro dovesse andare incontro a momenti di difficoltà finanziaria.

Terza e più pericolosa trappola: la crescita dei tuoi risparmi.

Prima, mentre leggevi che il TFR in azienda gode di un tasso di rendimento minimo e che c’è pure un rendimento variabile che si aggiunge in caso di inflazione, sicuramente avrai pensato che questa è un’ottima cosa.

Voglio però farti riflettere su alcuni dati.

La COVIP, l’organismo di vigilanza sui fondi pensione, pubblica periodicamente i rendimenti delle soluzioni finanziarie previdenziali.

Negli ultimi 10 anni, il TFR in azienda, quello che a prima vista sembra così garantito, conveniente e sicuro, ha reso il 2,4% medio all’anno.

Il TFR investito nei fondi pensione, e più precisamente nell’unico comparto di investimento coerente con un’esigenza di lungo termine – il comparto azionario – ha reso il 4,5% medio all’anno.

Due punti percentuali in più, in media, ogni anno.

Hai idea di cosa significhi poter contare su un simile valore, nel lungo termine, sul tuo TFR? Te la faccio breve: con un reddito da 40.000 euro lordi l’anno, per 30 anni, fanno quasi

50.000 euro di differenza.

A parità di tutte le altre condizioni: 50.000 euro dovuto “soltanto” ad un diverso e più efficiente posizionamento sui mercati del tuo TFR.

Ora che ti ho messo in guardia dalle insidie che non avevi ancora considerato e che ti ho spiegato in che modo è possibile evitarle, è importante ti sia altrettanto chiaro che non devi agire da solo.

Utilizzare i fondi pensione è facile, ma solo se ti fai guidare da un professionista.

Dopo tanti anni di studio ed esperienza, sono convinto di poterti aiutare e guidare nella pianificazione del tuo futuro pensionistico.

Per questo, ti invito a contattarmi subito.

Insieme inizieremo questo viaggio in modo molto più confortevole, evitando quelle trappole che oggi hai imparato a conoscere.

La guida definitiva che devi conoscere per aumentare la tua pensione in 3 semplici passi

Anche per te finire in pensione senza soldi sembra essere più spaventoso della morte o quasi? 

No, ti assicuro che non è un’esagerazione: secondo i dati di una recente ricerca condotta da Allianz, ben il 61% degli americani ha affermato di avere più paura di rimanere senza soldi che della morte stessa.  

E il 51% teme le spese mediche che dovrà affrontare durante la vecchiaia.  

In Italia ci sono sondaggi simili nei quali i nostri concittadini confermano di avere più o meno le stesse preoccupazioni: non avere abbastanza denaro per vivere, ammalarsi e non essere più autosufficienti.  

Insomma, se ti capita di fare questi pensieri pensando alla terza e quarta età, sei in buona compagnia.   

E magari, nei confronti di questo argomento hai un atteggiamento remissivo, quasi rassegnato. Pensi che non ci sia nulla da fare. “Sarà quel che sarà. Non posso cambiare le leggi o le decisioni del Governo. Non decido io.” 

Ma ho una buona notizia per te. 

In realtà, esistono 3 semplici passi che puoi fare fin da subito e che ti consentiranno di costruire un futuro nettamente migliore di quello che ti aspetti.  

Dipende solo da te: se continuerai a tenere la testa sotto la sabbia e aspettare, sperando che le cose miglioreranno da sole, i problemi e le preoccupazioni non spariranno.   

Anzi…  

La pensione è come la muffa: puoi ignorarla, ma il problema crescerà sempre di più fino a invadere tutta la tua vita. 

Lo Stato non verrà a salvarti e non aumenterà la tua pensione nel prossimo futuro. Ad aumentare saranno piuttosto i costi per i beni e i servizi che dovremo utilizzare, a fronte dei quali potresti non avere a disposizione risorse sufficienti.    

Per questo, se vuoi dormire sonni tranquilli, segui questi 3 passi che ho imparato durante i miei 25 anni di esperienza come consulente finanziario a fianco delle famiglie.  

 Il primo passo da fare è questo:  

Prendi atto di quanta pensione NON avrai. 

Devi essere consapevole del fatto che le pensioni percepite da chi ha già lasciato o sta lasciando il mondo del lavoro sono ancora molto più alte di quelle che verranno pagate nei prossimi anni.  

Probabilmente hai sentito qualche familiare affermare che “l’INPS mi da una pensione quasi uguale a quanto prendevo quando lavoravo, dov’è il problema?” 

In effetti, i vecchi meccanismi prevedevano proprio questo: una pensione che arrivava fino all’80% del reddito percepito durante gli anni di lavoro.   

Ebbene, il problema è molto semplice: non sarà più così.  

Le pensioni verranno calcolate esclusivamente sulla base dei contributi versati nel corso degli anni.  

Più contributi, più pensione.  

Meno contributi, meno pensione.  

Ma i contributi non sono uguali per tutti i lavoratori; anzi, ci sono differenze importanti.   

Se sei un lavoratore dipendente o un autonomo, se sei un imprenditore o un libero professionista, non paghi gli stessi contributi. E, a parità di reddito, non avrai la stessa pensione.  

Pertanto, la prima cosa da fare è capire a quale scenario si va incontro, a seconda della propria posizione professionale, prendendo atto di quanto scenderà la pensione pagata dallo Stato.  

Che non sarà più dell’80% rispetto all’ultimo reddito da lavoro.  

Ma che oscillerà, a seconda delle situazioni e delle professioni, tra il 30% e il 60% di quanto guadagnavi prima. 

Una volta che questo ti è chiaro dovresti ragionare su un altro, importantissimo, aspetto.  

Individuare progetti, desideri e bisogni. 

Per poter lasciare il lavoro con una pensione soddisfacente, prima di tutto devi sapere quanta te ne servirà.   

Per capirlo, non basta prendere atto, come ti ho scritto fino ad ora, di quale assegno ti riconoscerà lo Stato sulla base dei contributi versati. Occorre anche ragionare sul tenore di vita desiderato e sulle possibili esigenze che, volenti o nolenti, si presenteranno nella terza e quarta età. 

Partiamo dalle cose più gradevoli: che tipo di vita ti aspetti di fare, da grande?   

Se ci pensi, i pensionati di un tempo avevano uno stile di vita molto diverso dai pensionati di oggi: una volta i nostri nonni conducevano una vita ritirata, passavano il tempo con i nipoti e in famiglia e non andavano mai in vacanza.  

Oggi i pensionati sono ancora giovani, in salute e se la godono: frequentano teatri e cinema, viaggiano, spendono per coltivare i propri hobby e si divertono con gli amici fra ristoranti, fiere e degustazioni.  

Se questo è il futuro che sogni anche tu, allora è arrivato il momento di pianificare per realizzarlo. 

Se non ti prepari adesso per il tuo futuro, decidendo cos’è importante per te, il controllo della tua vita ti sfuggirà dalle mani. 

È arrivato il momento di scrivere nero su bianco una lista di obiettivi per il futuro: immagina la tua vita quando appenderai la cravatta o il tailleur al chiodo. 

Come spenderai il tuo tempo libero?  

Quale attività impegneranno le tue giornate?  

Viaggerai?  

Intraprenderai nuovi hobby?  

Ci sono dei progetti o sogni nel cassetto che vorresti realizzare?   

Ci sono acquisti ai quali non vuoi rinunciare?   

Un’auto d’epoca? Una villetta in campagna? Una moto?  

Dove vivrai? Sei mesi in Italia e sei mesi all’estero? In una casa al mare in affitto?  

Oppure, vuoi comprare una casa in montagna dove ritirarti per stare in pace?  

Chiaramente, non tutto quello che vorremmo si traduce necessariamente in realtà.   

Ti ho già detto di quanto le persone temano in generale i tipici problemi legati alla vecchiaia e il doverli fronteggiare senza adeguate risorse finanziarie.  

E in effetti, ogni età ha i propri bisogni. 

Quando si entra nella cosiddetta “Silver Age”, l’età dai capelli d’argento, è più probabile andare incontro a spese sanitarie e, più avanti ancora, a problemi legati alla non autosufficienza.  

Sono certo tu sappia benissimo che tutto questo ha un costo da sostenere, di cui lo Stato si farà sempre meno carico. 

Già oggi, ad esempio, la maggior parte degli Over 65 si rivolge alla sanità privata per fare visite ed esami, sobbarcandosi una spesa media di circa 2.000 euro l’anno.  

Se ti sembra tanto, pensa che questa stessa somma diventa mensile, e non annuale, se c’è bisogno di un’assistenza professionale per una persona non autosufficiente. Anzi, l’importo può essere anche sensibilmente superiore se ci si rivolge a strutture residenziali apposite.  

Ti sembra tutto tremendamente difficile e complicato da risolvere?  

Sappi che non lo è.  

Certo, la pensione non può tutto: ecco perché dovresti valutare anche la possibilità di farti aiutare da precisi strumenti assicurativi che si fanno carico di tutte queste spese, lasciando che i soldi della tua pensione rimangano a tua disposizione per le cose belle che hai deciso di riservarti.  

Bene, ci siamo quasi, ora resta da fare il terzo e ultimo passo per la tua pensione serena…  

Investire per la pensione con gli strumenti e nei modi corretti. 

Devi sapere che, da ormai 18 anni, ci sono strumenti finanziari che sono stati pensati e costruiti proprio per questo: si chiamano fondi pensione.  

Sono molto simili ai fondi comuni di investimento, che probabilmente già conosci, e ne condividono i principali punti di forza: gestione professionale ed elevata diversificazione.  

In più, i fondi pensione hanno una serie di caratteristiche ideate appositamente per renderli ancora più utili nello svolgere il loro ruolo: quello di generare una rendita che ti consentirà di integrare una pensione pubblica sempre più scarsa.  

Tra queste caratteristiche, ci sono dei vantaggi fiscali estremamente convenienti, che non vedo l’ora di poterti illustrare per renderti consapevole di quanto valga la pena sfruttarli.  

Ho quasi finito, ma non posso chiudere prima di dirti un’ultima cosa.  

Ok i fondi pensione, che sono gli strumenti ideali per costruire su misura la rendita previdenziale che desideri.  

Ma se alla tua pensione mancano ancora molti anni, devo ricordarti che il miglior alleato per costruire una rendita significativa è sempre lui: il mercato azionario. 

“Ma aspetta, io so che investire in borsa è pericoloso.” 

È vero, investire nei mercati azionari è pericolo se…  

Lo fai da solo senza essere seguito da un professionista.  

Investi nel breve termine e “giochi” comprando e vendendo azioni senza seguire un piano specifico basato sugli obiettivi.  

Punti tutti i tuoi soldi su un unico cavallo, ovvero investi in singoli titoli, senza diversificare il tuo investimento.  

Warren Buffett, l’uomo che si è arricchito grazie agli investimenti nel mercato azionario dice sempre:  

Se non puoi tenere un investimento per dieci anni, non tenerlo nemmeno per dieci minuti.” 

Investire nel mercato azionario è il modo più profittevole e sicuro per far crescere il tuo denaro. 

Ecco, ora penso di averti detto proprio tutto.  

Ora che sai quali sono le tre cose da fare per costruire la pensione che desideri, come ti senti?   

Ti sembra ancora troppo difficile mettere in pratica questi suggerimenti?  

Sono qui proprio per questo: per aiutarti a prendere decisioni così importanti nel modo più semplice e naturale possibile.  

Contattami, sarò felice di mettermi a tua disposizione per iniziare da subito a costruire quella serenità finanziaria per il futuro che ti sembrava così lontana e che ora hai capito essere perfettamente alla tua portata. 

Sai quanto rendono i contributi che versi all’INPS?

Chissà quante volte ti sarà capitato sottomano l’estratto del tuo portafoglio dal quale avrai osservato, più o meno soddisfatto, i rendimenti di ciascun investimento.  

È un’abitudine del tutto naturale, spesso istintiva, che ti consente di monitorare le decisioni prese ed eventualmente rettificarle, laddove non si rivelassero profittevoli.  

In fin dei conti, ti ripeti, per investire si fanno molti sacrifici e queste rinunce devono essere ricompensate. 

Hai perfettamente ragione: ogni euro non speso e messo da parte dovrebbe crescere al passare del tempo. Se così non fosse, sarebbe legittimo trovare alternative diverse.  

Proprio per questo, voglio farti una domanda: hai idea di quanto rendano i contributi previdenziali che sei obbligato a versare ogni anno all’INPS? 

Forse non lo sai, ma sono una parte molto significativa del tuo reddito lordo.  

Se sei un lavoratore dipendente, per ogni 100 euro che guadagni se ne vanno 33 in contributi.  

Se sei un lavoratore autonomo, ad esempio un artigiano, un commerciante o un imprenditore, per ogni 100 euro che guadagni se ne vanno circa 25 in contributi.  

In altre parole, fino a un terzo del tuo reddito lo devi all’INPS.  

Non si tratta dunque di qualche centinaio di euro, ma di svariate migliaia di euro che ogni anno sei costretto a versare e che, al termine della tua carriera, verranno trasformati in pensione.  

Diventa quindi più che legittimo farsi una domanda molto precisa: 

Questi soldi, di cui ti privi per 30 o 40 anni, quanto rendono?  

Ebbene, la risposta non è delle più immediate ma provo a semplificare.  

Devi sapere che questi soldi non finiscono in obbligazioni, azioni o qualche altro mercato finanziario.  

Questi soldi vengono immediatamente utilizzati dall’INPS per pagare le pensioni di chi ha smesso di lavorare.  

I contributi che versi, pertanto, non confluiscono in un salvadanaio intestato a te. O meglio, lo fanno in modo virtuale ma non effettivo: quando sarà il tuo turno, infatti, saranno gli altri lavoratori che ti pagheranno la pensione con i loro contributi.  

Si tratta di un investimento un po’ particolare, dunque, perché l’utilizzo di queste risorse è immediato e non c’è il tempo di farli crescere grazie al contributo dei mercati finanziari.  

Ecco perché il rendimento che lo Stato ti riconosce su questi versamenti è determinato per legge e, nello specifico, è collegato all’andamento della crescita economica dell’Italia.   

In pratica, se il PIL (Prodotto Interno Lordo) cresce tanto, i tuoi contributi si rivalutano tanto. Se cresce poco, i tuoi contributi si rivalutano poco.  

Immagino tu sappia che, da molti anni ormai, il nostro Paese non è più quella locomotiva che si era affermata nel Secondo Dopoguerra.  

Da troppo tempo, infatti, l’Italia cresce poco. Troppo poco. E, con essa, fanno la stessa cosa i contributi che determineranno la tua pensione futura.  

Mettiamo sul piatto qualche numero, per capirci meglio.  

Negli ultimi 15 anni, il rendimento medio riconosciuto sui versamenti contributivi effettuati all’INPS è stato pari a circa l’1,20% su base annua.  

Un tasso molto modesto, soprattutto se confrontato con l’enorme valore generato da alcuni mercati finanziari, in particolare dal mercato azionario globale.  

Un tasso ancora più modesto, se si tiene conto – come sempre si dovrebbe fare – dell’inflazione che, nello stesso periodo, è stata mediamente di circa il 2% all’anno.  

Quindi il rendimento vero, effettivo, reale dei tuoi versamenti previdenziali è stato negativo.   

Detto in altre parole, il meccanismo stabilito dallo Stato sui tuoi contributi pensionistici non ha garantito il mantenimento del tuo potere d’acquisto, né potrà farlo in futuro. Nemmeno su un investimento di lunghissimo termine come questo.  

Lo so, fin qui non ti sto dando buone notizie.  

Anche perché potresti dirmi che non c’è niente da fare: non puoi mica cambiare investimento, come invece potresti fare in altre circostanze.  

Questi versamenti sono obbligatori, non puoi destinarli a qualche soluzione più redditizia, sei costretto a darli all’INPS perché con quelli lo Stato ci paga le pensioni di oggi. Punto e basta.  

E in effetti è tutto vero: che tu sia dipendente o autonomo, sei chiamato ad assolvere a quest’obbligo e non puoi indirizzare altrove i tuoi contributi.  

Eppure, nonostante ti sembra di essere finito in un vicolo cieco, voglio finalmente darti una buona notizia: la via d’uscita c’è.  

C’è qualcosa che puoi fare. Anzi, c’è molto che puoi fare. 

La prima, indispensabile cosa da fare è maturare la consapevolezza che il rendimento riconosciuto sui tuoi versamenti contributivi non può essere sufficiente per generare la pensione di cui avrai bisogno più avanti.  

Devi convincerti del fatto che quel rendimento devi cercarlo altrove. 

Devi convincerti del fatto che ai versamenti obbligatori che ogni anno fai all’INPS devi affiancarne altri.  

Se vuoi davvero iniziare a costruire una pensione in linea con il tenore di vita che desideri, devi destinare parte dei tuoi risparmi unicamente a questo obiettivo. 

E qui arriva la seconda e altrettanto indispensabile cosa da fare: valutare, insieme al tuo consulente finanziario, quante risorse puoi dedicare a questa esigenza e capire il valore che può darti il corretto investimento di questi risparmi.  

È davvero fondamentale capire che posizionare le tue risorse su un mercato, piuttosto che su un altro, può fare una enorme differenza. Specie per un’esigenza di così lungo termine, nella quale il tempo produce risultati sorprendenti.  

Ti faccio un esempio.  

Negli ultimi 10 anni, se tu avessi scelto di investire risparmi aggiuntivi da dedicare alla pensione sui mercati obbligazionari, avresti ottenuto un rendimento molto simile a quello che lo Stato riconosce sui contributi obbligatori versati all’INPS. Poco più dell’1% all’anno.  

Ma se a questi mercati tu avessi preferito quelli azionari, il rendimento sarebbe stato di quasi quattro volte tanto. 4,5% contro 1,2%. 

Hai idea di cosa significhi, nel tempo, questa differenza di rendimento?  

Te lo dico subito.  

Immagina di poter investire 3.000 euro all’anno in uno strumento finanziario che andrà ad integrare la tua pensione (quello che si chiama, appunto, “fondo pensione”).  

Farlo per 30 anni sul mercato obbligazionario ti consentirebbe, ai rendimenti che ti ho citato poco fa, di raggiungere una somma di circa 107.000 euro.  

Farlo per lo stesso periodo sul mercato azionario ti consentirebbe invece di generare una somma finale di circa 183.000 euro.  

Il 70% in più.  

Senza investire un euro in più,  
la sola scelta del mercato più adatto determina il 70% in più.  

Ti sembra incredibile, ma è esattamente questo quello che accade da un punto di vista matematico. E la matematica, si sa, non è un’opinione!  

A questo punto, non ti resta che fare il terzo e più importante passo: agire.  

Ma agire da soli può essere estremamente pericoloso, quando si ha a che fare con questioni così articolate. 

Per questo, ti suggerisco di contattarmi. 

Mi occupo da molti anni di previdenza e mi mantengo costantemente aggiornato su tutti gli aspetti di questa complessa materia: è faticoso ma indispensabile, se voglio davvero essere di aiuto alle persone che incontro.  

La possibilità di porre rimedio alle inefficienze del sistema pubblico 
è nelle tue mani. 

Se è vero che non possiamo cambiare le regole che non ci piacciono, è altrettanto vero che possiamo attivarci per fare in modo di migliorare le situazioni che ci riguardano.  

Oggi hai compreso che i rendimenti che lo Stato ti riconosce sull’enorme quantità di contributi che sei costretto a versare ogni anno sono tutt’altro che esaltanti.  

Ma sono certo che, al tempo stesso, tu abbia compreso in che modo puoi rimediare a questa situazione.  

Costruendo finalmente il futuro che desideri.  

Quale pensione ti darà la tua Cassa?

In una delle sue più celebri battute, il comico Alessandro Siani dice: “Hanno alzato talmente tanto l’età pensionabile che per andare in pensione non ci vuole la terza età, ci vuole la reincarnazione!” 

Diciamoci la verità: in Italia eravamo abituati bene / Troppo bene. 

Perché fino ai primi anni Ottanta, si poteva andare in pensione poco più che cinquantenni. 

Un traguardo del quale andare poco fieri, raggiunto “grazie” a tante leggi accomodanti che consentivano di uscire dal mondo del lavoro ancora giovanissimi e che hanno fatto la felicità di chi le ha sfruttate, ma non di certo dei conti pubblici né delle generazioni a venire. 

E così, il conto alla fine è arrivato. 

Lo sta saldando in parte chi lavora, e lo farà in misura maggiore chi deve ancora iniziare. Come?In due modi, sostanzialmente. 

Il primo: andando in pensione più tardi, come ricordava anche la citazione con cui ho iniziato. 

Il secondo: andando in pensione con meno. 

Questa situazione vale per molte categorie professionali, ma per alcune…di più. 

Ti voglio fare un breve riassunto dell’enorme mole di dati che la Ragioneria Generale dello Stato riporta ogni anno in un rapporto dedicato al Welfare e alla previdenza. Sono tanto importanti quanto noiosi, quindi lascia che ti faccia una sintesi. 

Secondo le proiezioni ufficiali, nei prossimi anni dobbiamo aspettarci che: 

  • I lavoratori dipendenti vadano in pensione con un assegno che dovrebbe aggirarsi intorno al 60% rispetto all’ultimo stipendio (questo rapporto, in gergo, si chiama “tasso di sostituzione”); 
  • I lavoratori autonomi (in particolare commercianti, artigiani e agricoltori) smettano di lavorare con una pensione ancora più bassa, pari a circa il 45/50% rispetto all’ultimo reddito; 
  • Per entrambe queste categorie, l’età di pensionamento attualmente pari a 67 anni continui progressivamente ad innalzarsi, sulla base delle aspettative di vita. 

Come dici? Trovi il quadro abbastanza deprimente? 

Purtroppo, non ho finito, è che sto procedendo per gradi perché mi piacerebbe che tu arrivassi fino in fondo a questo articolo. 

C’è infatti una particolare categoria di lavoratori autonomi che si guadagnerà la pensione ancora più tardi e con importi ancora più bassi 

Sto parlando dei liberi professionisti. 

I numeri dicono che, per questa platea, le porte del pensionamento si apriranno anche a 70 anni. Con assegni riconosciuti dalla propria Cassa di appartenenza fino al 30% dell’ultimo reddito dichiarato. 

Non 60%, non 50%. Ma 30%. 

Forse sono dati che già conoscevi. O forse no. 

In ogni caso, se sei un farmacista, un commercialista, un architetto, uno psicologo, continua a leggere. 

Se rientri in queste categorie professionali, accertati di sapere davvero come stanno le cose. 

Non voglio fartela troppo complicata, ma affinché tu capisca i motivi alla base di questa apparente contraddizione – che vedrà professionisti rinomati fare sempre più i conti con assegni non altrettanto prestigiosi, per usare un eufemismo – devo fare un passo indietro. 

Nel 2011, tutti ricordano la riforma Fornero per gli esodati e i sacrifici richiesti a milioni di lavoratori. Pochi però sanno che quella riforma impattò in modo significativo anche sugli Enti di Previdenza dei liberi professionisti, le cosiddette Casse. 

Senza entrare in inutili ed eccessivi dettagli tecnici, devi sapere che da allora le Casse devono rispettare requisiti patrimoniali estremamente stringenti. 

In altre parole, lo Stato ha chiesto loro di rafforzare la propria solidità negli anni a venire. 

Da un lato questo è senz’altro un bene, perché aumenta le probabilità che i liberi professionisti possano avere Enti di Previdenza più sani, forti e in grado di camminare sulle proprie gambe, senza aiuti esterni. Dall’altro lato, tuttavia, il rafforzamento patrimoniale passa dalle due condizioni che ho citato prima: lavorare più a lungo e pagare pensioni meno generose rispetto al passato. 

Soprattutto la seconda. 

E così, negli ultimi 15 anni, molte Casse hanno modificato il meccanismo di calcolo della pensione dei propri iscritti, passando dal vecchio metodo retributivo al più sostenibile ma meno generoso metodo contributivo. 

Il che significa che la tua pensione dipenderà dalla quantità di contributi che hai versato in tutta la tua carriera. 

E qua sta il vero nocciolo della questione. 

Ti sei mai chiesto quanti contributi versi alla tua Cassa per la tua pensione? 

Probabilmente, d’istinto, potresti rispondere “tanti”. 

Proprio in questo momento, infatti, ti stanno passando davanti agli occhi tutti gli F24 che con elvetica puntualità ti tocca versare e che ti svuotano il conto. 

In realtà, se ci pensi bene, non sono affatto così tanti. Anzi, sono decisamente pochi. 

Pensa che un dipendente lascia all’INPS il 33% del suo reddito annuo lordo. 

Un commerciante o un artigiano, il 24% circa. 

Un libero professionista, molto meno. 

Alcune Casse fanno versare ai propri iscritti il 15%, altre il 18%, altre ancora appena il 10% o il 12%. 

Ora, ti chiedo: se un dipendente che versa un terzo del proprio reddito vedrà già una consistente riduzione della propria pensione rispetto agli standard del passato, quale potrà mai essere lo scenario atteso per un professionista che versa il 10% o poco più di quanto produce? 

Alla luce di questi dati, ti è chiaro perché la tua Cassa ti pagherà una pensione estremamente povera, se confrontata a quanto guadagnavi in precedenza? 

Adesso fermati un attimo a riflettere su di te. 

Pensa agli anni dell’università, agli sforzi che hai profuso per costruire la tua professione e per conquistare clienti, a quanto è stata dura arrivare a certi traguardi. 

Insomma, pensa alla fatica che hai fatto e che ancora farai per regalare a te e alle persone per te più importanti una certa serenità economica. 

Già, ma questa serenità…Come pensi possa essere mantenuta, quando smetterai di lavorare e le entrate alle quali ti sei abituato non ci saranno più? 

Quanto conta, per te, che la terza età diventi davvero quel periodo in cui potrai goderti riposo, passioni, famiglia ed amici? 

Perché diciamoci le cose in modo chiaro, alla faccia dell’ipocrisia:  

i soldi non garantiscono la felicità, ma la loro assenza ne complica molto il raggiungimento. 

Sono certo di poterti aiutare a costruire quella serenità e quel benessere previdenziale che ti sei meritato ma che non ti sei ancora conquistato, a causa delle trasformazioni che stiamo attraversando e che ho cercato di descriverti. 

Insieme potremo capire meglio quali prestazioni ti riserverà il tuo ente previdenziale. 

Le Casse non sono tutte uguali, al contrario ciascuna si contraddistingue per caratteristiche proprie che vanno studiate, analizzate e di fronte alle quali occorre rispondere con un piano personalizzato. Unico. Fatto su misura per te. 

Parliamone, per trovare la soluzione migliore e riposizionare la tua previdenza sulla strada giusta. 

Quanto conviene la previdenza complementare per la tua azienda?

Da anni, ti fai in quattro per far crescere in modo sano e sostenibile l’azienda che hai costruito. 

Cerchi di farlo nonostante sul tuo cammino devi costantemente misurarti con numerosi ostacoli fatti di burocrazia, imposte, concorrenza, mercati in perenne metamorfosi e altri imprevisti di ogni tipo. 

Tutto questo sottraendo tempo ed energie ai tuoi affetti, senza avere alcuna garanzia che simili rinunce possano generare poi quel ritorno, anche economico, che ti meriteresti. 

In quello che fai non esiste una chiara linea di demarcazione tra lavoro e tutto il resto, perché prima di tutto si è imprenditori dentro. Nel modo di pensare, di decidere, di vivere. 

Ti porti dentro la delusione per qualcosa che non è andato come speravi, l’emozione per aver raccolto una nuova sfida, l’entusiasmo per aver raggiunto un importante traguardo. 

Che tu sia il titolare di un piccolo negozio o di una grande azienda, che tu abbia pochi o tanti collaboratori nella tua squadra, sono sicuro che queste parole descrivono almeno una parte della tua esperienza. 

E lo sai perché? 

Perché queste sensazioni le vivo anch’io ogni giorno.  

Come consulente finanziario e patrimoniale faccio tutto ciò che è in mio potere per fare esattamente quello che fai tu, ogni giorno, da imprenditore: entrambi proviamo a dare una mano ai nostri clienti. 

Cerchiamo di fare qualcosa che sia utile, apprezzato, concreto. Vogliamo portare valore, migliorare la vita delle persone che incontriamo. 

Ed è esattamente questo che vorrei fare oggi con te. 

Vorrei chiederti di dedicare pochi minuti a questa lettura, di arrivare fino in fondo per capire come posso portarti un vantaggio immediato. 

Un vantaggio che probabilmente ancora non hai sfruttato perché sei preso da mille cose da fare e perché nessuno te lo ha mai detto. 

Se sei un imprenditore, se vuoi mettere in tasca ai tuoi dipendenti più soldi e soprattutto e vuoi essere il primo a risparmiarne parecchi, allora leggi che cosa ho da dirti. 

Voglio iniziare col farti qualche domanda. 

In questi anni di attività, quante volte ti sei trovato a dover gestire le richieste dei dipendenti in merito al loro TFR?  

Se ti chiedessi quanto ti è costata ogni anno questa voce, sapresti dirmelo?  

E se ti domandassi quanto pesa tale voce sul tuo bilancio, cosa mi risponderesti? 

Partiamo da una semplice ma importantissima constatazione: per la tua azienda, il TFR è un debito. 

Anche se lo hai utilizzato come se niente fosse dicendoti che “quando me lo chiederanno ci penserò”. 

Anche se non hai mai agito per ottimizzarlo in tutti questi anni, e anche se sei riuscito finora a gestire senza problemi le richieste che i tuoi dipendenti hanno avanzato, è venuto il momento di capire in che modo una gestione efficiente di questo debito può farti risparmiare soldi, tempo e pensieri. 

Siccome le leggi che disciplinano il funzionamento del TFR sono tutt’altro che semplici, provo a semplificare con un esempio. 

Consideriamo un’azienda nella quale lavorano 20 dipendenti, con un costo medio della retribuzione pari a 25.000 euro ciascuno. 

In totale si tratta dunque di 500.000 euro di stipendi lordi. 

Siccome il TFR accantonato è paria 6,91% del montante retributivo complessivo, stiamo parlando di 34.550 euro di debito contratto ogni anno dall’azienda nei confronti dei propri collaboratori. 

Questo flusso di denaro può seguire sostanzialmente due strade. 

La prima, rimanere in azienda e seguire le norme stabilite dal Codice Civile. 

La seconda, essere destinato ai fondi pensione. 

In questa seconda ipotesi, la legge prevede regole diverse. 

Soprattutto, prevede dei vantaggi. Per chi lavora e per chi dà lavoro. 

In particolare, definisce una serie di agevolazioni di vario tipo per compensare l’azienda del danno derivante dalla perdita, dalla fuoriuscita di queste risorse finanziarie all’esterno della propria organizzazione. 

Provo adesso a sintetizzarti e a quantificarti questi vantaggi di cui l’azienda può beneficiare. 

Ce ne sono almeno quattro. 

Primo vantaggio: meno soldi all’INPS 

Abitualmente, ogni azienda deve versare una somma di denaro al fondo di garanzia dell’INPS.  

Si tratta, in sostanza, di un versamento che ha una funzione solidaristica e precauzionale, visto che questi contributi vengono utilizzati in caso di bisogno per pagare le spettanze dei lavoratori di aziende in crisi o sull’orlo del fallimento. 

Ebbene, questo contributo non è dovuto per l’azienda che versa il TFR dei dipendenti ad un fondo pensione.  

Stiamo parlando dello 0,20% del montante retributivo lordo complessivo: monetizzando, 0,20% x 500.000 = 1.000 euro. 

Secondo vantaggio: nessun rendimento sulle somme accantonate 

Ogni lavoratore che lascia il proprio TFR in azienda ha diritto di ricevere un rendimento. 

Il Codice Civile stabilisce che questa remunerazione sia la somma di una parte fissa (1,5%) e di una parte variabile derivante dall’inflazione. Negli ultimi 10 anni, in media, il tasso di rivalutazione è stato pari al 2,4%.  

Sui 34.550 euro di TFR accantonato ogni anno dall’azienda protagonista del nostro esempio, il costo medio si aggira dunque intorno a 830 euro all’anno. 

Se però i risparmi relativi alla liquidazione fossero destinati alla previdenza complementare, il riconoscimento finanziario non spetterebbe più all’azienda, ma al fondo pensione. 

Con conseguente risparmio della cifra appena indicata. 

Terzo vantaggio: meno imposte da pagare 

Per le aziende che versano la quota di TFR dei dipendenti ad un fondo pensione e che hanno meno di 50 dipendenti, è prevista una deduzione dal reddito d’impresa pari al 6% del flusso accantonato. 

In sostanza, si riduce la base su cui vengono calcolate le imposte e l’effetto concreto è di pagarne meno. 

Nella fattispecie, il reddito dell’impresa sarà abbattuto di 6% x 34.550 = 2.073 euro. 

Siccome sul reddito delle aziende normalmente grava l’imposta chiamata IRES la cui aliquota è pari al 24%, il reale vantaggio è quantificabile in 2.073 x 24% = 498 euro circa. 

Quarto vantaggio: meno contributi da pagare 

Infine, la legge stabilisce che venga riconosciuta anche una riduzione sui cosiddetti oneri impropri, ovvero su quegli obblighi contributivi che gravano sulle aziende e che vengono generalmente destinati ad ammortizzatori sociali o a misure di sostegno al reddito. 

Nella fattispecie, il legislatore ha fissato un’esenzione pari allo 0,28% del montante retributivo totale. Quindi, volendo quantificare anche in questo caso il risparmio per l’azienda, si tratta di 0,28% x 500.000 = 1.400 euro. 

Se ti sei perso in mezzo a tutti questi dati, è arrivato il momento di fare un rapido riassunto. 

In totale, se l’azienda protagonista del nostro esempio andasse a destinare il TFR dei propri collaboratori ad una delle forme di previdenza complementare si troverebbe in tasca un risparmio complessivo di: 

1.000 + 830 + 498 + 1.400 = 3.728 euro 

In termini percentuali, risparmierebbe ogni anno circa l’11% sul flusso di TFR che è tenuta ad accantonare. Solo cambiandone la destinazione. 

Eri consapevole di questi numeri? Ci avevi mai ragionato sopra, prima d’ora? 

Ma non è tutto, c’è ancora un aspetto importante da sottolineare. 

Come ho detto all’inizio, il TFR per l’azienda è un debito. 

E più un’azienda è indebitata, meno piace alle banche che la devono finanziare. 

Se a fronte di questo debito c’è un accantonamento reale, effettivo, concreto in un fondo pensione, il bilancio si fa immediatamente più bello e leggero. 

E di conseguenza rende anche l’azienda più presentabile al mondo bancario. 

E un’azienda che ha un bilancio migliore ottiene anche condizioni migliori e risparmia. 

Insomma, si attiva un circolo virtuoso i cui benefici si moltiplicano. 

Ti è più chiaro, adesso, quanto conviene la previdenza complementare alla tua azienda? 

Certo, è una decisione che non puoi prendere da solo: il TFR è dei tuoi collaboratori e la decisione ultima spetta a loro. 

E il più delle volte, questa decisione prevede di lasciare le cose come stanno, di non avventurarsi in ciò che si conosce poco o per niente. 

La verità però è che i fondi pensione sono uno strumento che conviene al lavoratore e che conviene all’azienda, ma entrambi non conoscono a quali vantaggi stanno rinunciando rimanendo fermi. 

Per questo, occorre spiegare a tutte le parti in causa come funziona: una persona può fare scelte migliori se è messa in condizione di farle, se è informata, se è consapevole. 

Se vuoi fare il primo passo per andare in questa direzione, se pensi che alle parole debbano seguire i fatti e se desideri al tempo stesso avere un impatto positivo sui tuoi conti e dare un’opportunità alle persone che lavorano con te, allora contattami subito. 

Possiamo davvero fare questo primo passo. Insieme. 

La pensione non sarà un problema, se fai ora le cose giuste

Le persone caratterizzate da una buona dose di genio e sregolatezza emanano sempre un certo fascino, quasi un sintomatico mistero come cantava il maestro Franco Battiato in Bandiera Bianca.

Di getto mi vengono in mente Maradona e John McEnroe nello sport, oppure Kurt Cobain e Jim Morrison nella musica.

Ma ce ne sono molti di personaggi che, per quanto controversi, sono stati capaci di lasciare un’eredità positiva immortale.

È come se il talento contemplasse quasi automaticamente la legittimità a mettere in atto comportamenti che in altri contesti sembrerebbero eccessivi, dissoluti, ingiustificabili.

Quando pensiamo a una persona talentuosa pensiamo che possa essere sregolata e indisciplinata.

Eppure, nella vita di tutti i giorni, essere disciplinati è un grande talento.

La disciplina è una caratteristica noiosa, poco seducente.

Capace, tuttavia, di restituire risultati sorprendentemente efficaci nel tempo.

Essere disciplinati è tutt’altro che semplice.

Perché non si tratta “solamente” di fare qualcosa con costanza e sistematicità.

Si tratta di fare qualcosa che funziona.

Nel mondo in cui ci troviamo, è indispensabile mettere in atto abitudini virtuose, fare cose che funzionino. Specie nell’ambito finanziario.

E specie se parliamo di pensioni, un tema sempre caldo. Anzi, rovente. Destinato ad essere sempre più incandescente.

In questo articolo però non voglio concentrarmi tanto sul perché dovresti occuparti di questo tema con la massima attenzione. Preferisco piuttosto dimostrarti quanto la pensione non rappresenti affatto un problema, se si fanno le cose giuste.

Vuoi sapere quali sono le cose giuste da fare?

Due, in particolare.

La prima: capire di quanto hai bisogno.

Questo è probabilmente il passaggio più complesso.

Comprendere il capitale di cui sarebbe opportuno disporre una volta varcata la soglia della quiescenza è difficile perché le variabili in gioco sono tante.

Anzitutto, devi farti un’idea sufficientemente precisa di quale sarà la tua pensione, rapportata al reddito che guadagnavi in precedenza.

Di certo l’assegno mensile al quale avrai diritto sarà più basso rispetto agli standard odierni, ma l’entità del taglio dipende molto dalla professione e dalla posizione contributiva.

Hai lavorato e guadagnato poco, ad inizio carriera? Avrai di meno.

Sei un lavoratore autonomo? Avrai di meno.

Stimi di guadagnare di più nei prossimi anni? Anche in questo caso, avrai di meno.

Se, dopo un’analisi attenta, emerge che prenderai la metà rispetto al reddito al quale ti sei abituato, devi farti una domanda importante: devo arrivare a mettere da parte abbastanza soldi per avere esattamente l’altra metà?

Di più? Di meno?

Non è un aspetto semplice da decifrare, perché nessuno di noi sa che cosa gli riserva il futuro, specie se è un futuro abbastanza lontano e dunque imprevedibile.

Ma, al netto di imprevisti, ragionare sul tenore di vita atteso e sul desiderio di soddisfare particolari progetti è indispensabile per quantificare in modo verosimile la somma da raggiungere.

La seconda cosa da fare è investire l’importo giusto nel modo giusto.

Mettiamo, per ipotesi, che il tuo obiettivo sia disporre di un capitale di 200.000 euro.

Ritieni che questa somma sarà soddisfacente per integrare quello che non ti darà lo Stato.

A questo punto la domanda è: quanto devi mettere da parte, ogni mese, per arrivare a questo risultato?

E la risposta non può che essere una soltanto: dipende.

Dipende da quanto puoi accantonare, e dipende dal modo in cui lo farai.

Relativamente a quest’ultimo aspetto, è fondamentale che ti sia chiaro il bivio di fronte al quale ti trovi: devi scegliere se fare tutta la fatica da solo, e se farti aiutare dal mercato.

È come partire per una scalata in montagna: più ti fai carico di tutto in prima persona, più rallenti il passo e aumenti la fatica.

Se invece posizioni il tuo risparmio in modo efficace e diversificato, sai che stai scaricando il peso e questo ti consentirà di andare più spedito verso il traguardo.

I numeri sono estremamente chiari, su questo.

Negli ultimi dieci anni, i comparti di investimento considerati più prudenti hanno generato performance di poco superiori allo zero.

Allo stesso modo, l’unico investimento coerente con un accantonamento di lungo termine – il mercato azionario – ha restituito rendimenti intorno al 5% su base annua.

Prendiamo per buoni questi dati, e ipotizziamo a questo punto quanto dovresti investire, se decidessi di sfruttare il contributo dei mercati.

La variabile tempo è a dir poco determinante.

Avendo a disposizione 10 anni, dovresti mettere da parte 1.288 euro al mese.

Sì, lo so, è tanto. Probabilmente troppo. Uno stipendio.

Ma attenzione. Perché, se parti prima, inizi a scoprire una magia.

In 20 anni, nel doppio del tempo, probabilmente stai pensando che sarà sufficiente mettere da parte la metà.

E invece no: in 20 anni, basta accantonare meno della metà. Bastano 487 euro al mese.

E se l’orizzonte temporale si allungasse ancora, cosa accadrebbe?

In 30 anni basterebbe meno, molto meno di un terzo rispetto alla somma dalla quale siamo partiti.

Per avere 200.000 euro in 30 anni, basterebbero 240 euro al mese investiti nel mercato azionario.

Con questi numeri, il traguardo che sembrava così irraggiungibile è ancora un tabù o diventa improvvisamente più alla portata?

Certo, oltre a una certa capacità di risparmia serve l’ingrediente dal quale siamo partiti: la disciplina, senza la quale nulla è possibile.

Intendiamoci, te l’ho semplificata molto.

In realtà, il lavoro da fare è tutt’altro che banale.

Stimare la prestazione attesa è un’operazione complessa che non può essere affidata al primo calcolatore che trovi in rete.

Serve capire la tua reale posizione contributiva, conoscere il funzionamento della tua gestione previdenziale, valutare i parametri che trasformano i contributi in pensione, ipotizzare scenari demografici verosimili.

Poi serve anche ragionare sulle variabili che possono impattare sul tenore di vita atteso, e fare stime prudenziali per arrivare a determinare un montante che ti metta nella ragionevole condizione di non avere sorprese.

Ancora, serve impostare le strategie di investimento giuste, per rispondere al meglio alle oscillazioni dei mercati e per evitare di esporre il tuo capitale a inutili rischi, man mano che ti avvicini al traguardo.

E non ti annoio sugli aspetti fiscali e normativi, che cambiano spesso e sui quali occorre rimanere perfettamente aggiornati.

La buona notizia?

Tutto questo non devi farlo da solo.

Spetta a me aiutare le persone a progettare su misura il piano per arrivare a destinazione, nel modo più confortevole possibile.

Tu devi metterci solo – si fa per dire – un ingrediente.

Devi metterci quella disciplina e quella costanza che, una volta in più, avrai compreso essere fondamentali per raggiungere obiettivi ambiziosi.

Non so se nella tua vita ti senti più vicino a un McEnroe o a un maratoneta.

Ma so per certo che, quando si parla di futuro, vincono sempre quelli che sanno prepararsi.

Il mio lavoro è aiutarti a farlo bene.

Il tuo? Decidere che il momento giusto è adesso.

Se vuoi, ci lavoriamo insieme.